La società civile scrive al Parlamento: prima le regole della rappresentanza!
E propone una soluzione, indipendente dalla legge elettorale: “le 3 regole della rappresentanza”.
Il 4 maggio, il giorno della ripresa dalla fase acuta della grande pandemia, un gruppo di privati cittadini ha scritto a tutti i parlamentari, proponendo loro di farsi promotori in tempi rapidi di una legge sulla rappresentanza, preliminare e sovraordinata ad ogni legge elettorale.
Il gruppo, che si è dato il nome “Viva il Parlamento”, ha messo a punto “le 3 regole della rappresentanza”: regole che, secondo i proponenti, sarebbero in grado di restituire rappresentanza e centralità al nostro Parlamento.
L’iniziativa di Viva il Parlamento risponde alla necessità di un’azione prima di tutto culturale, e di conseguenza politica, che sposti la motivazione che forma il consenso politico dei cittadini:
dal sentirsi “contro gli interessi degli altri” al sentirsi a “sostegno degli interessi comuni”
Le regole sono state concepite in modo che siano compatibili e “neutre” rispetto alle diverse formule elettorali maggioritaria, proporzionale e mista. Esse sono formulate in modo che risultino comprensibili agli elettori nell’enunciato e nell’intenzione e che siano facilmente trasformabili in articoli di una nuova e semplice legge della Repubblica:
regola 1
“I soggetti aventi titolo a proporre liste elettorali hanno facoltà di candidare ciascun candidato in non più di due collegi elettorali. Le liste elettorali dovranno essere presentate con almeno 120 giorni di anticipo rispetto alla data prevista delle elezioni.”
regola 2
“La combinazione tra le liste elettorali di cui alla regola 1 e le corrispondenti schede elettorali deve consentire all’elettore di scegliere un partito/lista e non più di due candidati. E’ ammesso il voto in forma disgiunta.”
regola 3
“I soggetti di cui alla regola 1, in caso di ricandidatura nella successiva tornata elettorale, sono tenuti a ricandidare ciascun parlamentare nello stesso collegio elettorale nel quale era stato in precedenza eletto, fatta salva la facoltà di candidarlo anche in un secondo collegio. E’ ammesso che il soggetto proponente sia diverso da quello nelle liste del quale il parlamentare era stato in precedenza eletto.”
I principi ispiratori e il modello relazionale di riferimento
Le tre regole della rappresentanza si rifanno alla convinzione che la piena rappresentanza in Parlamento si possa realizzare quando il modo di scegliere i rappresentanti permette a ciascuno degli attori in campo di esprimere senza impedimenti le proprie idee politiche e le proprie convenienze, coniugando libertà di scelta e responsabilità.
Le tre regole rappresentano un “sistema di regole” che ha l’intento di: riavvicinare la politica alla gente, assicurando agli elettori la possibilità di eleggere i propri rappresentanti, di valutare il loro operato e di confermare o no il mandato alla ricandidatura, di rendere politicamente vantaggioso per gli eletti occuparsi della comunità che rappresentano, durante il loro mandato parlamentare, di rendere altrettanto vantaggioso per i partiti superare la tendenza a rimanere confinati nell’ambito poco più che regionale dei “collegi sicuri” e investire nell’ampliamento della loro presenza di medio periodo sull’intero territorio nazionale.
Le regole si ispirano ad un modello relazionale e insieme costituiscono “un sistema di regole che agisce sul sistema di relazioni“ tra gli attori della rappresentanza e cioè i cittadini, i candidati e i partiti.
Le regole considerano le tre coppie di relazioni: quella tra elettore e candidato/eletto, quella tra candidato/eletto e partito, e quella tra partito ed elettore e ne esplicitano la dinamica nelle fasi topiche del loro vicendevole rapporto: la candidatura, l’elezione, la ricandidatura.
In effetti ciascuna regola di occupa prioritariamente di una relazione tra gli attori della rappresentanza e di una fase specifica:
La regola 1 è relativa alla fase di candidatura e si occupa in particolare della relazione tra partiti e candidati. Essa mira a favorire i partiti di respiro nazionale nelle loro strategie di maggiore presenza sull’intero territorio, a tutto vantaggio della rappresentanza.
La regola 2 è relativa alla fase del voto e si occupa in particolare della relazione tra gli elettori e i candidati. Essa mira a dare all’elettore la più ampia libertà di voto consentendogli di esprimersi riguardo ai candidati proposti dai partiti nelle liste elettorali, ai partiti che presentano le liste elettorali e agli abbinamenti tra partiti e candidati.
La regola 3 è relativa alla fase di ricandidatura, si occupa in particolare della relazione tra elettori ed eletti. Essa mira a premiare, tra i vari parlamentari che si ricandidano, quelli che durante il mandato hanno ben rappresentato la comunità che li ha eletti nel precedente turno elettorale.
L’effetto atteso delle tre regole della rappresentanza
E‘ opinione dei proponenti che le regole abbiano l’effetto di riqualificare le relazioni tra elettori, parlamentari e partiti e di restituire così al Parlamento il ruolo di istituzione centrale della nostra democrazia rappresentativa.
Restituire prioritariamente rappresentanza e ruolo al Parlamento appare necessario visto che da un trentennio a questa parte, il susseguirsi di leggi elettorali alla ricerca di volta in volta di governabilità e compromesso tra i partiti costituenti la coalizione maggioritaria del momento, ha provocato una progressiva erosione della effettiva rappresentanza del parlamentare e dunque della centralità del Parlamento nella nostra democrazia, che per la nostra Costituzione è, o dovrebbe essere, per l’appunto rappresentativa.
In effetti, tra liste elettorali bloccate che impediscono al cittadino di scegliere il proprio rappresentante, possibilità dei partiti di presentare lo stesso candidato in molti collegi, potendo così sottrarlo al giudizio della comunità che lo ha eletto e non ultimo il sostanziale vincolo di mandato sotto il quale è costretto ad agire il parlamentare “nominato”, è comprensibile come il cittadino si senta vieppiù ininfluente, lontano dalla “casta” dirigente e sia sfiduciato rispetto a qualunque possibilità di indirizzare la politica.
Le tre regole della rappresentanza proposte intendono dichiaratamente porre all’attenzione il fondamentale tema della rappresentanza in una democrazia degna di questo nome, ma a ben vedere la loro applicazione avrebbe un’influenza positiva e profonda, oltre che nei rapporti tra i cittadini e i Parlamentari restituendo centralità e forza al Parlamento, anche nel rendere più trasparenti le relazioni tra parlamentari e partiti e nel favorire i partiti nel recupero di quel radicamento territoriale, di cui tanto si parla.
La rappresentanza e il senso del voto (Cap. 04)
Per poter creare una base di riferimento adeguata per la rappresentanza occorre abbandonare il “voto unidirezionale”, che propone agli elettori un abbinamento fisso tra partito e candidato, e adottare una forma di “voto bidirezionale” che permetta all’elettore di esprimersi sul candidato, sul partito e sull’abbinamento proposto.
Solo il “voto bidirezionale”, nel quale una qualche forma di voto disgiunto è essenziale, è in grado di fornire un’indicazione politica articolata che serva sia come riferimento per assegnare i seggi in Parlamento ad esito del voto stesso, assicurandone la rappresentatività, sia come mappatura del sentimento complessivo degli elettori, di gran lunga più veritiero di qualsiasi sondaggio, e indispensabile ai partiti per rivedere, tra una tornata elettorale e l’altra, le strategie di rimodulazione della loro azione politica.
Si sostiene inoltre che nel sistema elettorale l’indirizzo alla rappresentanza debba essere considerato prioritario rispetto a quello alla governabilità, sulla base della considerazione che le correzioni a favore della governabilità siano tutto sommato abbastanza facili da introdurre, sotto forma di “regola” di assegnazione dei seggi, una volta che il metodo di espressione del voto abbia permesso di cogliere il senso completo e articolato del voto stesso, essendo impossibile il contrario a partire da un voto indirizzato alla governabilità.
Le scelte specifiche dei contenuti della proposta rapportati allo scopo
I criteri di scelta adottati per formulare le regole della rappresentanza sono asserviti allo scopo di “restituire la rappresentanza al parlamento il più rapidamente possibile indipendentemente dalla legge elettorale”
La pluricandidabilità ristretta a 2 collegi invece che il collegio unico (Cap 07)
Si sostiene che la pluricandidabilità limitata a due collegi elettorali sia preferibile al collegio unico e a un eventuale vincolo di territorialità per il candidato, perché può essere un utile sostegno ai partiti per ampliare la loro presenza in tutto il territorio nazionale e superare così gli attuali ambiti d’influenza, ai quali oggi corrisponde la ripartizione Nord, Centro Sud, che divide politicamente il Paese.
Solo in questo modo i partiti possono compiutamente svolgere il ruolo d’integrazione di istanze locali e visione nazionale, recuperando la loro essenziale funzione di intermediazione socio/politica in tutto il Paese.
Infatti i partiti che intendessero farlo, potrebbero candidare un loro esponente di sicuro valore sia nel collegio che il partito vuole conquistare sia nel collegio nel quale quell’esponente/partito è tradizionalmente forte. Quell’esponente sarebbe motivato a farsi carico del progetto di diversificazione, non essendo esposto al rischio evidente di rimanere senza collegio, come potrebbe accadere se potesse essere candidato in un solo collegio e scegliesse di farlo in quello da conquistare.
Preferenze e liste bloccate (Cap 08)
Si sostiene che le liste bloccate, essendo un voto unidirezionale, non siano adatte a raccogliere il pieno senso del voto che l’elettore è in grado di esprimere e che è necessario per comporre il profilo della rappresentanza parlamentare omologo al sentimento degli elettori espresso dal voto stesso.
Preferenze e liste bloccate hanno pregi e difetti, l’importante è non confondere i piani di valore e cioè non si può togliere agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti se l’uso inappropriato delle preferenze ha storicamente e colpevolmente favorito una distorsione della rappresentanza. Dev’essere vietato usare le liste bloccate associate a forme che ne esaltino i difetti come ad esempio la pluricandidabilità estesa. Si possono usare le liste bloccate se le si associano a forme compensative.
La verifica di mandato (Cap 10)
Nel mandato parlamentare il mandante è l’elettore, il mandatario è il parlamentare, il mandato è la rappresentanza dell’intera Nazione e lo strumento di giudizio previsto dal principio di mandato, è il voto “ex post” e cioè in occasione della ricandidatura.
È in violazione di detto principio che in Italia al mandante è impedito di giudicare con il suo voto il mandatario per come ha svolto il mandato e che, invece, gli sia chiesto con quel voto di giudicare un altro soggetto, avulso dal quel mandato: il soggetto che non è il mandatario, ma solo quello che glielo ha proposto e che a dire il vero, con l’attuale sistema elettorale, glielo ha assegnato.
Si sostiene che l’assenza della verifica di mandato sia una fondamentale ragione d’incuria nell’agire politico collegata alla tanto lamentata assenza di responsabilità, e che essa vada sanata trovando una regola che permetta e obblighi al contempo il parlamentare a rendere conto del mandato alla comunità che gliel’ha affidato.
La verifica di mandato alla ricandidatura rappresenta un requisito irrinunciabile della rappresentanza per poter coniugare libertà e responsabilità, e cioè la libertà del parlamentare a svolgere il mandato senza vincoli e la sua responsabilità riguardo a come lo svolge nei riguardi di chi glielo ha affidato.
Il Corollario delle tre regole della rappresentanza
le “3 regole della rappresentanza” sono incompatibili con il sistema costituito da liste elettorali bloccate e pluricandidabilità estesa in quanto si ritiene abbiano avuto l’effetto di ridurre alla quasi insignificanza la rappresentanza e il ruolo del Parlamento.
Le liste bloccate unitamente alla facoltà dei partiti di candidare chiunque ovunque (pluricandidabilità) limitano la dinamica tra gli attori della rappresentanza perché di fatto la riducono alla sola relazione tra partito ed elettore, a totale sfavore di quella tra elettore e candidato e di quella tra candidato e partito, indispensabili alla pienezza della rappresentanza.
Le liste bloccate infatti obbligano l’elettore a scegliere il partito, il quale nomina i suoi rappresentanti in Parlamento e già questo implicitamente afferma che siano di fatto solo i partiti, o meglio la loro dirigenza, a scegliere chi rappresenta la Nazione.
La pluricandidabilità oltremodo estesa invece, di fatto rende pressochè impossibile l’instaurarsi di una relazione continuativa tra Parlamentare e bacino elettorale, oltre a poter sottrarre lo stesso Parlamentare dal giudizio sul suo mandato della comunità che ha rappresentato.
Le tre regole della rappresentanza sono dunque incompatibili con il “sistema politico” costituito a partire dalle liste elettorali bloccate e pluricandidabilità, poiché la combinazione delle due condizioni ha l’effetto di privare il Parlamento di una effettiva rappresentanza della Nazione e del ruolo che gli spetta nella nostra democrazia rappresentativa.
Inoltre le nuove risorse d’informazione e comunicazione politica via web, strategiche per loro stessa natura, hanno già modificato le relazioni tra gli attori della rappresentanza mostrandone al momento solo gli effetti negativi: lo sconsiderato uso politico del web e dei social media favorisce infatti all’interno dei partiti l’emergere di leader che riescono a raccogliere direttamente il consenso dei cittadini a favore del partito che, grazie a ciò, riescono a egemonizzare. Con tale deriva persino i partiti non riescono a rappresentare la Nazione perché la detta relazione tra partito ed elettori, già grandemente riduttiva della rappresentanza, viene sostituita dalla relazione diretta tra il leader del partito e gli elettori, che diventano il suo popolo.
Si è ormai indotti a immaginare che il “like” possa prefigurare il voto, che il voto possa essere invocato come forma di plebiscito o di referendum sul leader e che quest’ultimo possa condizionare pesantemente, oltre che il partito, anche la libertà di mandato dei parlamentari.
Infine il rapporto di forza viziato tra leader, partito e parlamentari, complice anche la pressione condizionante del consenso, raccolto ossessivamente e strumentalmente per ogni possibile via, permette persino a una estemporanea maggioranza di governo di appropriarsi della funzione legislativa, esautorando il Parlamento a colpi di “voti di fiducia” e di Decreti Legge.
In conclusione, seppure le liste bloccate e la pluricandidabilità non risultino di per sé stesse inequivocabilmente incostituzionali, la loro combinazione, costituisce un “sistema politico” che ha l’effetto, ormai dimostrato, di falsare la rappresentanza e di annullare il ruolo politico del Parlamento, e cioè dell’istituzione centrale della nostra democrazia rappresentativa.
Si può sostenere che il “sistema” costituito dalle liste bloccate e dalla pluricandidabilità neghi l’intento stesso della Costituzione.
Per approfondire il portato della proposta, presso il sito “vivailparlamento.it”, sono resi disponibili i relativi documenti analitici, insieme a riflessioni e contributi di terzi. Il sito è anche la via per interloquire con i promotori dell’iniziativa.
Volontariato, società, diritti civili e legge elettorale: ci vogliamo svegliare?
Roberto Brambilla
L’Italia è caratterizzata da un elevatissimo numero di associazioni, ONG, gruppi attivi presso i quali centinaia di migliaia di persone prestano gratuitamente il loro tempo e le loro competenze. Questi enti coprono praticamente tutti i settori: dal welfare, al cambiamento sociale, alla tutela dell’ambiente.
Il lavoro di questi enti, e soprattutto dei volontari, è meritorio e insostituibile però, forse, è tempo di fare una riflessione sull’efficacia con cui impiegano le risorse a loro disposizione, in primis il lavoro del volontariato.
Basti pensare che nonostante tutto l’impegno profuso non sempre raggiungono gli obiettivi che si sono posti. Alcuni esempi: contro l’effetto serra non sono ancora state fatte leggi efficaci, gli aerei F35 sono in costruzione, la povertà e l’esclusione aggrediscono nuove fasce sociali, il TAV va avanti al pari con la distruzione del territorio, gli attacchi ai diritti costituzionali continuano, da ben tre tornate elettorali stiamo votando senza poter votare liberamente i nostri rappresentanti, a tutt’oggi , infine, il popolo “sovrano” per poter esercitare il suo potere dispone di pochissimi strumenti tra cui il farraginoso referendum abrogativo. Da un lato il fatto di non raggiungere gli obiettivi è accettabile considerata la scarsità di mezzi a disposizione, questo però non deve portare ad una sorta di tranquillizzante assuefazione rinunciataria.
Cosa c’é che non funziona?
E’ da decenni che, salvo qualche innovazione come le petizioni on line, l’insieme delle associazioni e dei gruppi, pur avendo spesso finalità simili, continuano a lavorare praticamente “divisi” ed usano gli stessi strumenti: raccolte di firme, petizioni, richieste pre elettorali ai politici che in generale si attivano non per loro intima convinzione, ma solo per essere eletti/rieletti. Spesso poi le promesse pre-elettorali vengono dimenticate perché non rientrano nella linea del partito, quella vera…
Di fatto i gruppi, le ONG e le associazioni sono perennemente costretti a impiegare buona parte delle loro risorse e del loro tempo per mettere pezze agli effetti delle cattive leggi fatte dal parlamento, dalle regioni dai comuni. Si comportano come quelli che hanno la casa allagata e continuano a spazzare via l’acqua senza pensare di andare a chiudere il rubinetto. Continuano a lavorare “a valle” (sugli effetti) senza mai andare “a monte” (sulle cause). Inoltre se in questo ultimo mezzo secolo invece di lavorare a compartimenti stagni ottenendo poco, i gruppi, i movimenti, le associazioni avessero lavorato in rete dedicando una modesta frazione delle loro energie per raggiungere tutti insieme un obiettivo ogni due o tre anni, molto probabilmente avrebbero ottenuto di più.
E su cosa avrebbero potuto lavorare? La risposta che sorge spontaneamente è “su obiettivi concreti di interesse comune”. Questo però non basta. Riflettendo un po’ di più e tenendo presente quanto affermato poco sopra sul parlamento e le altre istituzioni si arriverebbe probabilmente alla convinzione che uno degli obiettivi di maggior interesse generale è quello di ottenere strumenti per far funzionare bene la democrazia in Italia. A livello nazionale sono sostanzialmente quattro:
1) una legge elettorale che permetta ai cittadini di eleggere i propri rappresentanti (è da tre tornate che votiamo con le liste bloccate e un sistema talmente complesso che non permette di capire quali sono i nostri rappresentanti dato che i seggi volano da un capo all’altro della penisola) e che preveda procedure burocratiche “serie ed eque” per permettere a partiti politici nascenti di potersi presentare alle elezioni
2) una legge sui partiti per farli diventare trasparenti e democratici, luoghi di formazione civica e di costruttivo confronto.
3) una legge che preveda gli strumenti per rendere piena la sovranità del popolo: il referendum propositivo per promuovere leggi, la revoca del mandato, il quorum zero, la possibilità di definire l’entità dello stipendio dei parlamentari ecc. Interessante in questo senso è stata la proposta di legge di iniziativa popolare presentata nel 2012 dal nome “Quorum zero più democrazia” per la quale sono state raccolte più di 53.000 firme.
4) i regolamenti parlamentari che completino i primi tre punti.
Purtroppo tutti questi obiettivi sono in aperto contrasto con gli interessi di coloro che hanno fatto della politica il lavoro della loro vita e quindi non ci si può aspettare che queste persone si mettano d’impegno ad approvare provvedimenti in tal senso. Una strada innovativa ci sarebbe, ma passa attraverso il superamento di un tabù che è nel DNA degli italiani e, di conseguenza, nel DNA dei gruppi e delle associazioni.
Le associazioni e i gruppi dovrebbero finalmente superare il tabù “la politica è una cosa sporca”. La politica non è sporca: è sporca fino a quando sarà lasciata in mani sporche…
Le associazioni e i gruppi inoltre dovrebbero smettere di dire di non poter fare politica attiva perché è vietato dai loro statuti. Leggiamoli questi statuti: se dicono che la mission è ad esempio la difesa dei deboli o dell’ambiente e si constata che deboli e ambiente non vengono difesi, non sarebbe ora di porsi il problema dell’efficacia e cambiare approccio? Continuare imperterriti a fare le stesse cose non diventa connivenza? Spesso si sentono frasi del tipo “ i nostri associati sono di tutte le tendenze politiche, non possiamo esporci con la politica diretta, di parte”. Ma se la strategia necessaria passasse invece proprio attraverso la politica diretta per poter raggiungere, finalmente, gli obiettivi statutari? Gli associati non sarebbero contenti di strategie fatte alla luce del sole e per finalità “statutarie”? Non si potrebbe quindi pensare ad un progetto politico una tantum, per il bene comune? Per raggiungere i 4 obiettivi di cui sopra?
Non si tratta di far diventare “partiti” le associazioni, si tratta di mettere le associazioni e i gruppi attorno ad un tavolo per trovare la migliore formula per “mandare in parlamento” persone adatte creando quindi una “rete di scopo” pensata proprio per influire direttamente sulle decisioni e dotata di regole per evitare la deriva che ha caratterizzato tutti i partiti. Questa rete, con modalità per fare politica del tutto nuove, potrebbe col tempo, trasformarsi in un partito nel senso costituzionale del termine. Se questa proposta trovasse ascolto e avesse successo, la macchina dello stato potrebbe finalmente ripartire e, di conseguenza, il preziosissimo lavoro dei volontari non sarebbe più impiegato a “mettere pezze”, ma verrebbe destinato a ben più utili e costruttivi progetti.
Difendiamo l’Italia
Guido Grossi
I cardini del modello Italia.
Affonda radici profonde nella Costituzione ma anche in quella storia sociale e giuridica che ci ha regalato il ”miracolo economico”:
– la Politica governa l’economia e la moneta, gestisce i conflitti sociali,
non lascia fare ai mercati;
– la Comunità protegge la dignità del lavoro in ogni sua forma,
non permette il suo sfruttamento;
– la Repubblica garantisce un buon lavoro a tutti, quale strumento di emancipazione della persona umana e di partecipazione al progresso materiale e spirituale dell’umanità,
non tollera disoccupazione e precariato;
– lo Stato sostiene la straordinaria capacità di produzione delle piccole e medie imprese private italiane,
non le soffoca di burocrazia e tasse;
– la Comunità custodisce ed accresce le grandi aziende di Stato in grado di offrire buoni servizi ai cittadini e alle imprese,
non le svende alla speculazione privata.
I rischi.
Il Governo italiano ha sospeso le libertà democratiche ed ha quasi arrestato l’economia nazionale.
Non sembra avere a portata di mano soluzioni convincenti per:
– trovare risorse finanziarie pari alla drammaticità del momento;
– proteggere le nostre ricchezze pubbliche e private;
– evitare finanziamenti esteri comunque pregiudizievoli;
– uscire, una volta per tutte, dalla perenne emergenza.
Anche le soluzioni proposte dall’Unione europea sono inadeguate, in quanti prigioniere del paradigma del debito e della scarsità artificiale di moneta. Paradigmi che, di fronte alla straordinaria emergenza, vengono superati con coraggio da molti altri Governi.
Tutti devono capire che, comunque venga confezionato, un ulteriore debito estero distruggerebbe definitivamente la società italiana come la conosciamo, fatta di cultura del lavoro e di piccole imprese.
Cosa si richiede al Governo in questo momento
l’umiltà ed il coraggio di offrire al Paese un confronto aperto e costruttivo sui contenuti del Piano di Salvezza Nazionale; un serio dibattito in Parlamento e nelle televisioni; un tavolo per il dialogo.
L’opportunità.
L’Italia ha sofferto più di altri paesi all’interno di questo sistema, dominato dalla speculazione e dalle multinazionali, che ha estromesso i Governi dalla gestione dei conflitti social.
Dentro i paradigmi della finanza privata e globale, ci siamo persi!
Oggi, però, nel dramma dell’emergenza attuale, si aprono nuove prospettive.
Sotto i nostri occhi increduli, i paradigmi insostenibili della globalizzazione finanziaria stanno cascando uno dopo l’altro:
– la tirannia sciocca dei parametri contabili è sospesa;
– i divieti di aiuti di Stato sono sospesi;
– appaiono improvvisamente centinaia e addirittura migliaia di miliardi a disposizione dei Governi più forti, dimostrando anche ai più ciechi che la scarsità della moneta era artificiale;
– la libertà di movimento dei capitali e delle merci è di fatto sospesa, in attesa di giudizio.
Resta da abbattere il paradigma del debito. Ma dobbiamo assolutamente capire che c’è debito e debito.
Un conto è il debito contratto dai Governi nei confronti di un sistema finanziario sopra nazionale che crea denaro dal nulla, lo usa in maniera irresponsabile, pretende di dettare legge alla Politica.
Quello è un debito insostenibile e non più legittimo.
Totalmente diverso, invece, dal debito contratto dai Governi nei confronti dei cittadini risparmiatori, che è protetto dalla Costituzione ma non ancora a sufficienza dai governanti.
Oggi più che mai, il nostro risparmio nazionale va difeso assieme al nostro modello socioeconomico, va protetto dai colpi di coda di un potere che si è mostrato spietato e incosciente.
Oggi, è il tempo di esportare il modello Italia.
Possiamo rinnovarlo in un nuovo patto del lavoro, opposto alla falsa ricchezza della finanza speculativa.
Un patto sociale che sappia unire i lavoratori dipendenti pubblici e privati ai lavoratori autonomi, siano essi imprenditori, professionisti, artigiani. Tutti con pari dignità!
L’umanità è alla ricerca di nuovi equilibri mondiali.
Se noi italiani troviamo oggi, tutti insieme, popolo e Istituzioni, il coraggio di condividere le responsabilità, potremo offrire all’umanità intera, quale fonte di ispirazione, il valore culturale del nostro modello37 rigenerato dalla dolorosa esperienza che lo ha visto attaccato come non mai, indebolito ma indomito, negli anni della globalizzazione selvaggia.
È garanzia di equilibrio, di sostenibilità, di solidarietà, di giustizia e di umanità.
Svaligiare il Futuro
di Enzo Orlanducci
Molti dei nostri veterani a causa del COVID-19 hanno chiuso gli occhi. Una perdita dal valore incommensurabile sia sul piano affettivo ed emozionale che su quello socio-culturale.
Al di là del dolore umano, non ci deve sfuggire il vuoto cosmico che la generazione degli over 90 lascerà nella nostra società. Un vuoto che investe le dimensioni, diverse ma correlate, della “memoria” e della “storia”.
Con il decesso dei veterani non muore solo una generazione, ma con essa perdiamo i “testimoni” della nostra “memoria storica”, quelli che, per chi non sapeva o non voleva sapere, erano un fastidioso “ingombro”, ma che per noi erano e sono le “pietre del passato che descrivono il futuro”.
Ricordare per molti è verbo da espungere dal vocabolario di quella modernità che sottrae qualsiasi cosa non abbia a durare lo spazio di un banale utilizzo. Non vorremmo che ancora una volta l’oblio vincesse la sua partita sulla memoria.
Uccidere la memoria equivale a rapinare il futuro. Henri-Louis Bergson osservava che la memoria “non consiste nella regressione dal presente al passato, ma al contrario nel progresso dal passato al presente. È nel passato che noi ci situiamo di colpo”.
I veterani, i “narratori”, se ne sono andati ed il nostro è ancor più il tempo dell’oblio. L’oblio totale, assoluto, inappellabile. La condanna della memoria, sopraffatta dalla dimenticanza, lascia sul campo macerie di ogni tipo.
Essi erano il sale del nostro Paese e la loro presenza era la nostra ricchezza. Il covid-19 se li sta portando via, soli e in silenzio, privi del conforto dei loro cari e di un addio religioso. Se ne stanno andando senza nome, diventati numeri da elaborare e confrontare nelle sofisticate statistiche. È l’effetto più crudele di questa mostruosa pandemia. Noi non li abbiamo visti, naturalmente. Soltanto le loro bare ci sono state mostrate sui camion militari.
Con la loro scomparsa siamo diventati certamente tutti più poveri di memoria e non vorremmo, però, essere anche testimoni indifferenti di una scomoda tragedia moderna che molti non avranno voglia di ricordare.
Ci rincuora, tuttavia, che nei social la tematica abbia toccato la sensibilità di molti. Tra i pensieri, i filmati, le poesie circolate, abbiamo scelto questa bellissima, commovente dedica agli anziani scritta da Fulvio Marcellitti 38, che ci sembra sintetizzare al meglio le nostre considerazioni:
«Se ne vanno. Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici.
Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi.
Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente.
Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale.
Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero.
Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato.
Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati.
Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio.
Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, vero patrimonio di tutta l’umanità.
L’Italia intera deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze».
Che parole. Un pugno nello stomaco.
L’APP – COVID e l’invadenza informatica
di Fiorello Cortiana
Avere dubbi e sollevare domande sulle modalità di raccolta dei dati personali e sulla loro gestione attraverso strumenti pervasivi, in tempi di insicurezze e semplificazione, comporta lo stigma di Bastian Contrario ma è la funzione inquieta che ogni cittadino libero dovrebbe esercitare. In un mondo segnato da una deriva finanziaria, che considera i paradisi fiscali una normale articolazione degli strumenti del mercato speculativo, siano essi in piccole isole dell’Atlantico o in Stati membri dell’Unione Europea, risulta una fastidiosa pretesa il diritto ad avere una dimensione ultima, propria, esclusiva e insondabile.
Un ‘paradiso identitario’ da condividere consapevolmente nella misura scelta autonomamente.
Fino alla seconda metà del 2021 è previsto 39 che, per convivere con il Covid 19, viaggi, movimenti,scambi relazionali e i luoghi dove ciò avviene, verranno tracciati.
Il contact tracing coronavirus sarà compito dell’App-Immuni, gestita dalla compagnia Bending Spoons, vincitrice del bando.
Chi gestirà le molteplici connotazioni informative dei nostri dati georeferenziati?
Si tratta di informazioni che consentono una nostra profilazione articolata ben oltre la connotazione relativa alla positività virale del Covid 19. Nello spazio pubblico esteso dentro la disintermediazione digitale la questione riguarda la libertà, condizione primaria della democrazia.
Il Patto Civile si fonda sull’equilibro tra interessi generali e diritti individuali, da garantire ed esercitare in libertà, questa è la cifra della democrazia.
APP-Immuni immagine (tratta da Ansa.it)
Sicurezza vs Libertà – Sorveglianza vs Insicurezza
Sono i doppi vincoli, alternative precostituite, da cui liberarci al più presto.
Non si tratta di idiosincrasia tecnologica o complottismo, bensì del diritto alla partecipazione informata ai processi che ci riguardano. Il divide culturale non è una fatalità ma un divario da colmare per consentire e qualificare l’esercizio della cittadinanza.
I nostri dati devono essere nella disponibilità delle istituzioni deputate a rappresentare l’interesse pubblico, non in mani con interessi privati, quali essi siano.
Un esempio banale: colloquio di lavoro, pari età, stesso genere, pari qualificazione scolastica, stesse lingue parlate, stessa competenza digitale. Una persona è immune al possibile contagio virale, l’altra no: chi verrà scelta? Alla faccia del dettato costituzionale che esclude questa discriminazione e, peggio, una classificazione, non solo come possibile assenteista bensì come possibile untore.
Quali garanzie dà “Immuni” rispetto alla possibile gestione privata e internazionale dei nostri dati? Nessuna, non potrebbe. Google, uno dei protagonisti del progetto insieme ad Apple, ha comunicato che scaricare l’applicazione su Android, presso i suoi store, richiede l’attivazione della geolocalizzazione. Nelle notifiche si informa che “La geolocalizzazione del dispositivo deve essere attiva per poter rilevare i dispositivi Bluetooth nelle vicinanze, ma per le notifiche di esposizione al COVID-19 non viene usata la posizione del dispositivo”. Peccato che la rassicurazione è contraddetta da quanto è accaduto in Nord e Sud Dakota, dove il nuovo sistema di exposure notification di Google-Apple, ha inviato i dati alle applicazioni foursquare 40 per la condivisione della propria posizione, nonché ai server di Google. Al momento non ci sono certezze rispetto alle possibili attività sniffer 41 per funzioni illecite di intercettazione, memorizzazione e analisi del traffico di dati.
I nostri dati, per quale classificazione?
La pseudo-anonimizzazione comporta il trattamento dei dati personali in modo tale che gli stessi dati non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile. Ma consentire la richiesta di una serie di indicazioni quando si scarica l’app non garantisce dalla identificazione del proprietario dello smartphone da cui provengono i dati.
Per altro, dall’Australia a Singapore, in Islanda, in India, in Malesia e in Norvegia, il contenimento digitale dell’epidemia tramite contact tracing è sostanzialmente fallito. Tracciamento dei contagiati, con funzioni e percorsi, test sierologici diffusi e tamponi correlati, sono la via, insieme alle precauzioni, per perimetrare i cluster e definire regolamentazioni conseguenti.
“Immuni” si poggia sulle API-application programming interface di Google e Apple, sono le procedure per la effettuazione di un compito. Ma le politiche di realizzazione e di trattamento sono verificabili solo parzialmente dallo Stato italiano.
Parliamo di una applicazione in grado di generare un database molto ampio di dati di carattere sanitario che possono avere un valore economico elevatissimo.
Il tutto è nella disponibilità piena delle due Corporation. Per la funzionalità della interazione tra i loro sistemi e quelli degli Stati, le specifiche soluzioni nazionali dovranno essere approvate da loro. Una subalternità incompatibile con l’esercizio della sovranità previsto dalla Costituzione.
Il codice di “Immuni” rilasciato manca delle informazioni sui codici sorgenti del server, quindi i dati sulla soluzione adottata sono incompleti. Si mette nelle mani di player privati un database di dati sanitari enorme, non solo con un elevato valore economico. Si contribuisce altresì ad aumentare un potere di influenza su decisioni di carattere politico degli Stati nazionali.
Orwell aveva descritto la natura dei problemi con i quali ci interfacciamo.
Lasciando il Grande Fratello ai palinsesti televisivi, nel quadro storico reale si prefigura uno scenario nel quale l’esercizio della soggettività politica e della sovranità democratica viene esternalizzato, è svolto de facto da un sovrastato tecnocratico non elettivo, che non riconosce doveri fiscali verso stati che sovrasta.
Si tratta di una deriva che va’ ben oltre la caricatura emulativa delle Task Force nostrane. Questo all’interno di un quadro che vede una crisi dell’istituto della democrazia dal Sud America agli USA, dall’Italia all’Ungheria. Per non dire della Russia e della Cina che la democrazia non l’hanno mai praticata. La crisi ha ora accentuato, in ragione della emergenza, un processo di relativizzazione delle istituzioni rappresentative accompagnato dalla dequalificazione delle modalità di selezione elettiva e quindi degli eletti. Ciò che non ha trovato la conferma popolare nel referendum per la riforma riduttiva della Costituzione si sta producendo nei fatti.
Se l’idea di contatto e di relazione diretta diventa un sinonimo di contagio, se in luogo dell’uso sistematico dei dispositivi sanitari, delle procedure e delle precauzioni necessarie di prevenzione si accetta la definizione di distanziamento sociale è perché si sta scivolando in una disposizione atomizzata della cittadinanza. Qui la destrutturazione di una opinione pubblica avvertita si accompagna all’arretramento delle conquiste sociali e del mondo del lavoro.
La libertà e la democrazia, così come la sostenibilità del nostro modello di sviluppo, non sono, quindi, condizioni strutturali scontate. Come ben sanno i cittadini di Hong Kong o gli indios in Amazzonia. Democrazia e Libertà richiedono la responsabilità della vigilanza e della cura quotidiana delle loro condizioni, cui non devono far velo le preoccupazioni che hanno preso campo nei nostri pensieri. Certo, non possiamo trascurare, né dimenticare, la relazione tra l’impatto emergenziale e i tagli per la ricerca, gli ospedali, i presidi territoriali, il personale del sistema sociosanitario pubblico lungo questi ultimi decenni, con la considerazione mercantile della salute senza controllo. Ciò insieme alla mancanza di una strategia integrata Stato-Regioni-Comuni per la implementazione del diritto costituzionale alla salute. Così non possiamo scambiare per una modalità piena di produzione e condivisione della conoscenza le esperienze di didattica a distanza che, con pochi mezzi e tanta buona volontà, il corpo docente e tante famiglie hanno messo in atto insieme agli studenti.
È evidente che, per essere capaci di futuro, occorre mettere mano alla architettura istituzionale e alla sua relazione tra lo Stato centrale e la rappresentanza locale, da dimensionare in modo logico e attinente alla funzione da svolgere. È altresì evidente che occorre ampliare e rendere cogenti le possibilità di effettiva partecipazione informata ai processi deliberativi. Ciò insieme alla creazione di possibilità di azione delle esperienze di Cittadinanza Attiva.
Sono quindi la partecipazione, la responsabilità e la consapevolezza le chiavi alternative ad una presunta ineluttabilità dell’appiattimento, nei social digitali. O si propone questo passaggio o la deriva regressiva apparirà uno sbocco inevitabile per la nostra democrazia.
Principio di legalità e bilanciamento tra i diritti costituzionali fondamentali nella gestione dell’emergenza “Covid-19”
di Francesca Sgrò
Abstract
Il saggio propone alcune sintetiche riflessioni di ordine costituzionale dirette a definire l’esatta cornice dei diritti fondamentali coinvolti dalle prime misure anti-contagio di matrice governativa che hanno introdotto restrizioni personali mai adottate in passato. Si intende valutare alla luce dei capisaldi dogmatici del costituzionalismo moderno se, nella gestione di questa crisi senza precedenti, sia stato garantito il bilanciamento tra differenti beni di rango costituzionale e sia rimasto saldo l’equilibrio democratico tra i poteri dello Stato fondato sul rispetto del principio di legalità.
I molteplici riflessi costituzionali dell’emergenza “Covid-19”.
La devastante epidemia che ha afflitto l’Italia e il cui spettro è tutt’oggi presente ha rappresentato un dirompente banco di prova per la tenuta degli equilibri democratici e costituzionali. Si tratta di un’emergenza che ha prodotto molteplici ricadute sulla sfera personale dei cittadini e sull’assetto economico-finanziario del Paese, a cui le istituzioni sono state chiamate a rispondere con un’azione rapida ed efficace ma dalle conseguenze per molti aspetti ancora incerte. Il costo in termini di vite umane è alto ma quanto drammatici saranno gli effetti economici e le destabilizzazioni sociali che l’epidemia ed il conseguente lockdown hanno prodotto in soli tre mesi lo si vedrà nel prossimo futuro che appare funestato dalle nubi di una profonda recessione.
Non può invero negarsi che le istituzioni abbiano reagito prontamente attraverso misure di contenimento del contagio molto radicali e profondamente limitative di alcune libertà individuali. Il Governo, infatti, attraverso lo strumento del decreto-legge che lo legittima ex art. 77 Cost. ad intervenire tempestivamente in casi straordinari di necessità e d’urgenza e sulla scorta dei poteri previsti dal c.d. Codice della protezione civile (D.Lgs. n. 1/2018) per la gestione delle emergenze di carattere nazionale, ha predisposto un primo pacchetto di misure (sancite nel d.l. n. 6/2020 e successivamente dettagliate e variamente modulate con i DPCM attuativi che si sono succeduti) 42 che ha notevolmente condizionato la sfera delle libertà personali di tutti i consociati. Sull’opportunità delle scelte politiche adottate dal Governo per gestire l’epidemia in tutti i suoi risvolti (sanitario, sociale, economico, etc.) e per scongiurare effetti ancor più devastanti si registrano molteplici opinioni (spesso di segno opposto) e, anche esaminando la vicenda istituzionale in un’ottica strettamente costituzionalistica, sono molti gli aspetti che meritano un approfondimento, venendo in rilievo sia il tema dei diritti fondamentali della persona e delle limitazioni che possono essere legittimamente imposte, sia il ruolo del Presidente del Consiglio ed il suo rapporto tanto con il Parlamento quanto con le Regioni nella gestione dell’emergenza sanitaria.
In questa sede43, circoscrivendo l’indagine ad alcuni dei profili più dibattuti, si intende proporre una riflessione volta a definire l’esatta cornice dei diritti fondamentali coinvolti dalle prime misure anti-contagio per valutare se, nella gestione di questa crisi senza precedenti per contrastare la quale sono state imposte restrizioni personali mai adottate in passato, sia stato comunque garantito il bilanciamento tra beni di rango costituzionale e sia rimasto saldo l’equilibrio democratico tra i poteri dello Stato.
Il bilanciamento dei diritti e delle libertà fondamentali nelle misure di contenimento del contagio
La grave e repentina emergenza sanitaria che si è sviluppata in tempi molto rapidi e che ha coinvolto migliaia di persone sul territorio italiano (con elevato rischio di letalità) ha indotto l’attuale Governo ad adottare importanti misure di contenimento dell’epidemia che hanno – come noto – inciso sulla nostre libertà fondamentali attraverso l’imposizione del lockdown di qualunque attività e spostamento che non fossero ritenuti essenziali secondo stringenti criteri puntualmente specificati. Sono stati quindi coinvolte specifiche libertà sancite dalla Costituzione, e in particolare la libertà di movimento ex art. 16 Cost., la libertà di riunione ex art. 17 Cost. e la libertà di associazione ex art. 18 Cost. 44 Si tratta di diritti fondamentali della persona, che rilevano sia ex se quali libertà di muoversi ovunque nello spazio, di riunirsi e di aggregarsi, sia in quanto rappresentano specifiche modalità di espressione dell’identità e della personalità dell’individuo, e in questo sono strettamente correlati all’art. 2 Cost. che tutela la dignità dell’uomo e il diritto di ciascuno di esprimere la propria personalità in qualunque forma (c.d. principio personalista).
Le misure di contenimento adottate dal Governo (specialmente con il d.l. n. 6/2020) hanno imposto restrizioni all’esercizio di queste libertà fondamentali con un rigore che in epoca contemporanea non si era mai registrato. I limiti posti all’intera popolazione italiana si sono giustificati in nome della tutela della salute che, ai sensi dell’art. 32 Cost., è «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (secondo una prospettiva solidaristica) ma, considerato l’elevato tasso di letalità della pandemia, la tutela della salute si è immediatamente tradotta per le fasce più deboli nella salvaguardia del bene della vita. Sebbene un evento di tale portata abbia un carattere eccezionale (come dimostra la Storia), non può certo non rilevarsi che la Costituzione italiana abbia comunque previsto tale evenienza ed abbia in più norme disposto che, qualora accadano eventi di portata generale idonei a compromettere la salute dell’uomo (o la sua sicurezza), anche le libertà fondamentali possano subire limitazioni. In tal senso, l’art. 16 Cost. nel sancire la libertà di circolazione e soggiorno legittima espressamente «le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». Parimenti, l’art. 17 Cost. nel delineare la libertà di riunione ne legittima il divieto «soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» 45.
Pertanto, sul piano dei principi-valori la limitazione della libertà individuale è stata contemplata dalla Costituzione ed è stata presidiata da alcune cautele che – nella vicenda istituzionale in esame – appaiono rispettate, essendo la pandemia ed il suo elevato tasso di letalità la causa di tali restrizioni. In sostanza, la compressione delle libertà fondamentali inerenti alla circolazione ed alla riunione trova la propria giustificazione nella tutela di un diritto fondamentale, quale il diritto alla salute, se non anche nel diritto alla vita 46, inaugurando un diverso bilanciamento tra beni di rango costituzionale. Le limitazioni personali – generate dalla impellente necessità di preservare l’integrità dei consociati e connotate per la loro temporaneità – risultano quindi ragionevoli e proporzionate, in quanto pienamente conformi al dettato costituzionale che individua nella salute e nella sicurezza pubblica gli unici beni costituzionali idonei a legittimare una restrizione delle libertà indicate.
Se sul piano dell’an le misure anti-contagio risultano conformi alla Costituzione, occorre valutare se restrizioni così incisive siano legittime anche sul quantum, cioè sul piano della proporzionalità e dell’adeguatezza alla concreta emergenza sanitaria. Sul punto si rileva che la radicalità delle prescrizioni e dei divieti imposti per contenere l’epidemia (divieto assoluto di uscire se non per comprovati motivi di necessità) è riconducibile alle indicazioni provenienti dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale che hanno consigliato la via dell’auto-isolamento per contenere lo spread incontrollato di un fenomeno già molto diffuso (al momento della sua scoperta) in alcune aree d’Italia. La forte limitazione delle libertà fondamentali ed i rigorosi limiti che hanno contingentato i nostri movimenti sono quindi giustificabili alla luce dei drammatici contorni di questa dolorosa vicenda: basti qui solo menzionare l’assoluta imprevedibilità dell’epidemia e la scoperta tardiva rispetto alla sua già avanzata propagazione; l’assenza di conoscenze scientifiche sulla natura del virus e l’assoluta mancanza di rimedi medicali per contrastarne l’evoluzione e offrire valide cure; la constatazione di una diffusione rapida del virus, con effetti severi sulla salute umana e con un elevato tasso di letalità; la difficoltà di offrire una risposta sanitaria tempestiva da parte delle strutture ospedaliere che si sono trovate congestionate.
Se l’unica soluzione indicata dalla comunità scientifica per contenere l’epidemia (specialmente in una prima fase di grande incertezza) è stata l’auto-isolamento, se ne deduce che la conseguente adozione di misure restrittive delle libertà personali, essendo il solo rimedio ritenuto efficace (stante l’assenza di conoscenze scientifiche) per rallentare l’andamento dell’epidemia, risulta anch’essa proporzionata e legittima, trattandosi dell’unica misura ritenuta indispensabile per arginare il contagio, tutelando la salute e (in quella prima fase) anche la vita umana.
Un’ultima precisazione si rende necessaria con riguardo al concetto di libertà personale che l’art. 13.1 Cost. qualifica come bene inviolabile. Infatti, l’art. 13 Cost. è stato talora invocato quale parametro costituzionale utile a misurare la legittimità costituzionale delle misure anti-contagio adottate su iniziativa del Governo. Sul punto occorre rilevare che il riconoscimento dell’inviolabilità della libertà personale è la prima e principale tutela che la Costituzione garantisce ai singoli individui, proprio perché la libertà personale è – subito dopo la vita – il bene supremo dell’uomo, un diritto naturale oltre che un diritto costituzionale fondamentale, saldamente legato alla tutela della dignità umana. In questa prospettiva, la libertà personale costituisce il presupposto ontologico di tutte le altre libertà garantite dalla Costituzione: non è un caso che la dichiarazione di inviolabilità della libertà personale è sancita nell’art. 13.1 Cost. subito dopo le norme dedicate ai «principi fondamentali» della Costituzione (artt. 1-12 Cost.).
Invero, quella sancita nell’art. 13.1 Cost. è una dichiarazione di valore diretta a condizionare l’azione dei poteri pubblici che, nell’esercizio delle proprie funzioni, trovano un limite costituzionale invalicabile identificato nella tutela della persona umana, della sua dignità e delle sue libertà fondamentali. L’inviolabilità non significa assoluta impossibilità di incidere sui diritti fondamentali, ma significa assoluta impossibilità per le istituzioni di limitare la libertà personale (nelle sue molteplici declinazioni) al di fuori del sistema di garanzie previsto dalla Costituzione. Invero, nel bilanciamento tra differenti beni e valori la Costituzione ha già tracciato la rotta da seguire, indicando i casi e i modi attraverso i quali i beni di rango costituzionale possono subire una compressione nel rispetto degli equilibri costituzionali e della democraticità dell’ordinamento.
D’altra parte, l’art. 13 Cost. – dopo aver sancito l’inviolabilità della libertà personale – prosegue muovendosi su un diverso terreno (che riguarda una fase patologica delle relazioni sociali e che non attiene al caso in esame) ma con il medesimo metodo, puntando alla tutela della libertà personale da quegli interventi coercitivi dello Stato, e in particolare del potere giudiziario, che sono adottati quale reazione alla violazione delle regole compiuta dal singolo: anche in tale ipotesi è la Costituzione a configurare il punto di equilibrio, apprestando un triplice sistema di tutele (riserva di legge, riserva di giurisdizione e obbligo di motivazione) indispensabili a salvaguardare i diritti individuali della persona. Tuttavia, queste disposizioni – che si ricollegano alle garanzie del c.d. habeas corpus (ossia la tutela del cittadino dall’arresto o dalla reclusione arbitraria) – esulano dal caso in esame dove la limitazione della libertà personale coinvolge l’intera collettività e si giustifica per motivi di salute pubblica.
Nell’adozione di misure di contenimento dell’epidemia non è, in definitiva, possibile rintracciare la violazione della libertà personale ex 13 Cost. né come dichiarazione di valore, né come norma precettiva. Al contempo, la contrazione nell’esercizio di alcune libertà fondamentali – direttamente riconducibili agli artt. 16, 17 e 18 Cost. – appare giustificata per la tutela della salute e per certi aspetti anche della vita umana: nel necessario bilanciamento tra beni di rango costituzionale sono queste ultime a prevalere sulla libertà di movimento e di circolazione (in tutte le sue forme) ed anzi, di fronte ad una emergenza pandemica, è proprio la tutela della salute dell’intera comunità il bene da privilegiare, anche tenendo conto che la sua salvaguardia si traduce nella sopravvivenza delle fasce più deboli della popolazione.
Principio di legalità e riserva di legge nella gestione dell’emergenza
L’incertezza che avvolge la valutazione dell’azione governativa in termini costituzionalistici si fonda sull’assenza nella Costituzione italiana di una norma che expressis verbis definisca in modo chiaro quali poteri possano essere esercitati in una situazione di grave emergenza, specificandone modalità di esercizio e limiti, e a quale istituzione tali funzioni vadano conferiti nel rispetto tanto del principio di legalità formale e sostanziale, quanto dell’equilibrio tra i poteri dello Stato. L’incertezza aumenta se si considera che il principio di legalità, invocato nel caso di specie quale parametro costituzionale per verificare la legittimità dell’azione governativa, non ha una consacrazione univoca ed esplicita nel testo costituzionale, in quanto – trattandosi di un principio-valore immanente al sistema – i Costituenti hanno preferito un suo riconoscimento “diffuso”, che non è sancito in una specifica dichiarazione ma è instillato in molteplici norme costituzionali tra le quali si annovera l’art. 23 Cost. secondo cui «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» . Invero, proprio il principio di legalità è stato talora invocato per censurare le scelte di matrice governativa, che alcuni ritengono illegittime in quanto contenute in un decreto legge costruito “a maglie larghe”, che rinvia per l’ulteriore specificazione ed attuazione delle misure anti-contagio ad atti di natura amministrativa, quali sono i DPCM (di cui all’art. 3 del d.l. n. 6/2020) 47. Di certo, la compressione dei diritti fondamentali dei cittadini (in particolare, la libertà di movimento, di riunione e di associazione) è legittima solo quando vi sia il puntuale e rigoroso rispetto del principio di legalità sostanziale, che è diretto a garantire che qualunque limitazione sia sempre predeterminata dalla legge (o da un atto avente forza di legge) in modo puntuale attraverso la specificazione delle sue finalità, l’indicazione dei mezzi per realizzare tali finalità e la determinazione degli organi chiamati ad attuare i programmi e a esercitare i controlli. Solo in questo modo la legalità sostanziale esprime la propria vis democratica: ciò spiega lo stretto legame tra il principio di legalità sostanziale – inteso quale valore costituzionale – e la riserva di legge, che ne rappresenta la concreta traduzione operativa in quanto subordina alla legge – e quindi alla sovranità popolare – l’imposizione di qualunque limitazione dei diritti fondamentali.
Nel caso in esame l’imposizione di un obbligo di “non facere” rivolto ai cittadini per contenere il contagio è stata disposta dal Governo mediante decreto-legge (successivamente convertito in legge); trattandosi di una fonte primaria avente forza di legge, se ne desume che l’adozione delle misure restrittive sia conforme al principio di legalità in senso formale. Non può tuttavia negarsi che anche la formulazione della disciplina sia coerente anche con il principio di legalità in senso sostanziale, essendo stati definiti – in modo puntuale nell’art. 1 e in via residuale nell’art. 2 del d.l. n. 6/2020 – i tratti principali dell’azione pubblica da intraprendere, e cioè sia le finalità, sia le misure per realizzare tali finalità, sia gli organi chiamati ad attuare i programmi e a esercitare i controlli. Il rispetto della legalità sostanziale ha consentito di circoscrivere e contenere la discrezionalità del potere esecutivo nell’adozione dei successivi provvedimenti attuativi (quali i DPCM) che, senza discostarsi dal solco tracciato dalla fonte primaria, hanno potuto modulare le concrete misure restrittive della libertà personale per adeguarle all’andamento dell’epidemia. In tal modo, si è evitato di affaticare e ingessare l’attività del Parlamento sottoponendogli innumerevoli decreti legge e si è scelto di adottare specifici decreti legge (cinque nella c.d. prima fase dell’epidemia) contenenti misure puntuali ma non tassative ed esaustive, salvo poi rinviare a successivi atti amministrativi a contenuto generale (DPCM) per ulteriormente dettagliare tali misure e adeguarle progressivamente alle sopravvenienze sanitarie. In definitiva, le misure restrittive rese necessarie per fronteggiare la pandemia in Italia sono state adottate nel pieno rispetto del principio di legalità sostanziale: la formulazione delle norme del d.l. n. 6/2020 (artt. 1 e 2) in combinato disposto alle norme del d.lgs. n. 1/2018 (Codice della protezione civile) – che conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri poteri straordinari, sia pure temporalmente limitati, per le emergenze di rilievo nazionale connesse ad eventi calamitosi di origine naturale – testimonia come nel caso di specie non possa ritenersi pregiudicato o eluso il principio di legalità sia formale, sia sostanziale. In definitiva, le limitazioni alla libertà personale introdotte per contenere l’epidemia – trovando la propria genesi in una fonte primaria sufficientemente dettagliata, che ridimensiona la discrezionalità del potere esecutivo nell’adozione delle successive misure attuative – sono costituzionalmente legittime, in quanto rientrano nella piena esplicazione della sovranità dello Stato e sono funzionalmente collegate al buon governo del Paese in una situazione di estrema drammaticità.
Il terreno concettuale nel quale si è sviluppato il dibattito dottrinale si collega dunque ai capisaldi del costituzionalismo moderno e richiede alcuni riflessioni in termini sistemici per interpretare le attuali vicende politico-istituzionali e per esprimere una valutazione in termini di legittimità e di democraticità delle scelte adottate. Ne deriva che, sebbene qualche voce abbia paventato (forse incautamente) la “rottura della Costituzione” e la “sospensione dei diritti costituzionali”, non possono invero rintracciarsi violazioni delle garanzie costituzionali in quanto le misure c.d. di contenimento dell’epidemia adottate su iniziativa del Governo – pur incidendo su diritti fondamentali – sono state adottate nel rispetto dei principi sanciti nella Costituzione attraverso un bilanciamento equilibrato tra beni primari di rango costituzionale e mantenendo saldo l’ordine democratico che si annoda intorno al rispetto del principio di legalità sostanziale.
Covid e non solo, il carcere esplode
di Antonio Nastasio
L’intervista 48 ad Antonio Nastasio, già dirigente nel sistema carcerario in Lombardia e in particolare anche a Bergamo, è stata fatta dalla redazione del giornale Bergamo News – che si ringrazia per la cortesia – per comprendere il problema delle carceri, dopo questo lock-down per l’emergenza Coronavirus e che cosa si può fare dopo questa esperienza.
Che cosa pensa della situazione attuale delle carceri italiane in questa situazione di emergenza gestionale?
L’emergenza Covid-19 ha senz’altro fatto esplodere la difficile gestione del complesso mondo della contenzione di persone con problemi giudiziari. Carcere ed emergenza sanitaria, hanno in comune di non essere contesti recessivi, ma due realtà dominanti,realtà che non danno vie di scampo e inducono a scelte tra due doveri dello Stato, quello di punire e di curare.
Come pensa abbia risposto lo Stato, tramite il Ministero della Giustizia e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria?
Ha confezionato una risposta più da burocrati, fatta a tavolino, rintracciando il male minore piuttosto che ampliare il contesto del come e sul come contenere il problema. Non ha cercato altre soluzioni al coronavirus, oltre la detenzione o la famiglia o l’affidamento ad un contesto disposto all’accoglienza, magari a pagamento. L’attuale sistema di gestione delle misure alternative, relative alla pena non detentiva, è uno dei principali elementi di criticità ed è tale da richiedere una profonda revisione degli interventi che consentano un miglioramento degli attuali livelli di qualità e performance.
Siamo in una situazione di défaillance del settore?
Chiaramente la crescita forte e repentina del numero dei soggetti in misura alternativa è frutto di soluzioni estemporanee, le quali lasciano dietro di sé più negatività che positività. La salute è stata considerata prevalente e qui non si obbietta, aver alleggerito il numero di presenze in carcere ha reso molti entusiasti di aver fatto bene i propri compiti, seguendo il mandato istituzionale di alleggerire le carceri. Ma non era questa la soluzione più giusta. La famiglia non può essere costantemente chiamata in causa per risolvere tutto ciò che è dello Stato e lo Stato non sa dare risposte perché non pensate in anticipo.
Cosa era prevedibile e cosa si doveva pensare anticipatamente?
Il problema sovraffollamento non è un problema nato con il coronavirus, era un problema prevedibile certo, che rimanda al problema annoso mai risolto. Si è rimasti ai tempi delle grazie regie; amnistia e indulto per anni hanno risolto il problema dell’inefficienza, dell’incapacità ad aprirsi al nuovo, al non sperimentato, al riconsiderare cosa è delitto ed ammenda. Senza formulare per il carcere interventi altri, si sono tolte risorse economiche per interventi non all’interno del carcere.
Possiamo approfondire meglio questo passaggio?
Dall’istituzione delle misure alternative alla detenzione del 1976 ad oggi, non si è pensato a strutturare in modo diverso sia le carceri che il mondo del non carcere, quello delle misure alternative, senza toccare il mondo del punire. Occorre dividere ciò che deve essere punito con una pena detentiva, con una pena non detentiva e con una multa.
Che cosa propone?
Creare nuove strutture sul territorio per dare un significato trattamentale, dando maggiori attenzione all’offerta di servizi per aiutare la persona a cambiare o a curarsi. Questa tesi èl a stessa utilizzata in passato per per i malati di AIDS, scarcerati subito ma recuperando situazioni alternative, nelle quali dove potevano avere attenzioni, cure, morire in modo dignitoso perché la dignità non si toglie a nessuno. Non parlo di allungare la carcerazione o impedire una scarcerazione. È una offerta trattamentale, nel senso di aiutare il soggetto a porre in essere un atteggiamento di autocritica sul danno arrecato alla vittima col suo comportamento criminale. Non certo una richiesta di un surplus di afflittività ma uno strumento in più per riconosce più ciò che è pena, e in particolare la misura alternativa al carcere, non certo di punire e quindi “di far male.
Può essere più concreto a proposito di queste strutture territoriali che, intuisco,non ci sono?
Anni fa, per rendere meno pesante la detenzione si pensò, progetto mio, di adibire strutture detentive a sicurezza attenuata, quindi minor vigilanza e maggior attività di trattamento. Parlo di adibire strutture con capacità contenitiva per assolvere a questo scopo, recuperando le carceri mandamentali dismesse, pensate per tossicodipendenti arrestati. Erano strutture pensate con una custodialità minima e attività tratta mentale simile a quella di una comunità di recupero, con forte apporto del loro personale, in un rapporto economico di convenzione. Non avrebbero pesato sul carcere, né come numero né per il tipo di offerta di servizi. Servivano giusto il tempo per passare poi alle stesse comunità in condizioni fisiche e psichiche idonee al permanere in questi luoghi indicati. Si associava pertanto la cura sanitaria all’espiazione della pena, per finire la pena in misura in contesto esterno indipendente. Forse idea troppo innovativa…
Queste strutture a detenzione attenuata, a chi servirebbero?
Mi rivolgerei a detenzione per soggetti a breve indice di pericolosità ed a soggetti ammalati che non possono trovare una adeguata assistenza per lunghi periodi. Saranno sempre carceri ma chiameranno il supporto del Privato sociale e dell’ente locale, con una presenza minima di personale di custodia debitamente formato.
Che cosa si otterrebbe con questa soluzione?
Un’offerta di servizi previsti dall’Ordinamento Penitenziario, uno svuotamento del carcere in modo ragionato con il territorio, senza danno loro e della collettività. Non stazionerebbero nell’ozio ma si abituerebbero alle modalità della vita esterna ad attività di pubblica utilità, al risarcimento sociale per il male fatto. Questo può avvenire solo se vengono coinvolte nella gestione fin da subito il mondo del volontariato e dell’ente locale,in quanto è prevista la territorializzazione della pena non solo come detenzione ma come inserimento sociale nel luogo della vita del soggetto.
Mi sembra di capire che lei parla di attività di pubblica utilità e non di lavoro socialmente utile….
Parlo di giustizia riparativa, in particolare tramite l’attività di pubblica utilità che meglio si attua in strutture, come quelle che propongo, in quanto hanno come mandato il reinserimento tramite una rivisitazione critica, del reo, del proprio vissuto.
Quindi il futuro del carcere è un suo ampliamento verso il recupero e riutilizzo distrutture dismesse?
Sì, sono per il recupero di quello che il contesto esterno può offrire con un minimo di manutenzione e qualificazione al nuovo ruolo di essere dei luoghi , come ex caserme o ex collegi, che detengono le persone per avviarle ad una scarcerazione preparata, sia per il soggetto che per la società. Sono anche per il recupero di tutti gli ospedali zonali dismessi,ancora capaci di attuare il mandato di assistenza, debitamente resi contentivi per le terapie a lunga degenza per soggetti in vecchia che non possono essere scarcerati, per tutti coloro che per patologie psichiche con diminuita aggressività ma non ancora pronti per una ospitalità esterna.
Il passaggio a queste strutture, come lo vede?
Il passaggio avviene creando un “gruppo di trattamento” aperto alla presenza del privato sociale che opera in quella struttura, compresi gli agenti di polizia penitenziaria di reparto del carcere operante nella struttura, sia essa per espiare la pena che per la cure sanitarie.
Strutture che avranno un costo…
Credo sia venuto il momento di presentarlo come progetto europeo, progetto sperimentale con i fondi italiani depositati, che la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha invitato a spendere. Penso che le nuove carceri a sicurezza attenuta, recuperando il dismesso, sarebbero un bellissimo nuovo progetto, che va incontro sia a chi è detenuto che alla società che chiede più carcere; parlo di un carcere altro, pieno di iniziative e attenzione, al quale il privato sociale specializzato, saprà dare quell’impronta che oggi è mancata, attuando l’offerta di servizi come vuole l’ordinamento penitenziario.
Mortalità a Milano. Confronto con altre città
di Daniele Vittorio Comero
Analisi della mortalità negli ultimi anni per la popolazione attiva, terza età e quarta età
La scelta 49 di seguire il numero dei decessi per valutare la pericolosità dell’epidemia è una semplificazione necessaria per comprendere il fenomeno da un punto di vista quantitativo. La “mortalità” è sicuramente un buon indicatore dell’impatto sociale e demografico del COVID, per la capacità di sintesi che possiede, utilizzata da molti ricercatori, suffragata dall’esperienza in campo statistico. In ogni analisi sociale occorre individuare il fattore chiave da seguire nel tempo per ricavarne il trend e le modalità operative di azione.
In questo contesto si esamina il caso di Milano, tramite la mortalità giornaliera SISMG per il periodo critico sotto esame: i dati evidenziano una curva tipo gaussiana della mortalità, come si può osservare nel grafico sottostante. Si intravvede chiaramente la fase di rientro a valori standard di mortalità, con l’ingresso nel mese di maggio. La mortalità riguarda principalmente la popolazione anziana.
Fig. 1 – Mortalità giornaliera complessiva a Milano città (fonte: SiSMG, 7° Rapporto)
La mortalità indica le “perdite” effettive, accertate e verificabili. Sono cifre che fanno capire l’entità del danno apportato dal virus, visto che la perdita di vite umane è da considerare il livello massimo di danno sociale. Qui di seguito i dati per classi di età della mortalità a Milano, settimana per settimana da febbraio a maggio.
I dati 50 sul periodo critico: 1° gennaio 2020 – 4 aprile 2020
I dati storici, riferiti alle ultime annualità, 2016-2020, cinque anni, permettono di valutare meglio il dato 2020 a parità di condizioni e periodo temporale. La prima analisi sui dati riguarda certamente l’infanzia, se i bambini e i ragazzi sono stati colpiti e in che misura. La risposta in termini di mortalità infantile (dati Istat) è visibile nella tabella sottostante: la classe di età 0-14anni non ha avuto alcun danno. Questa è una bella notizia che non è stata mai diffusa dai media.
Nella citata tabella sono riportati i decessi per classe di età nel corso dei primi tre mesi di ogni anno, periodo 1° gennaio – 4aprile. Nell’ultimo paragrafo si è poi aggiunto l’aggiornamento rilasciato il 4 maggio con i dati fino al 15 aprile, che forniscono indicazioni sul trend in corso. La cifra complessiva dei morti nel 2020 non è differente dal 2015 o dal 2017. Si pone il problema visto precedentemente, della percezione delle ondate cicliche che non sono state segnalate, come quella del 2015.
Mortalità per classi di età
La lettura dei dati per tutte le classi di età è semplice, si basa sul confronto del dato 2020 con il corrispondente valore ottenuto negli altri anni 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019.
La scala del grafico rimane sempre identica nei tre grafici per non ingannare l’occhio e rendere comparabili le figure, quindi stesso schema con identiche serie storiche.
Fortunatamente la classe di età 0-14 anni non ha subito incrementi di mortalità, per cui viene omessa dall’analisi e si inizia con il gruppo più numeroso che è quello della popolazione attiva, dai 15 ai 64 anni. Sul grafico sono riportate le linee che collegano i dati di mortalità settimanali, dal 1 gennaio al 4 aprile di ogni anno, dal 2015 al 2020.
In questo modo si può valutare il dato attuale in confronto con quello storico degli anni precedenti.
Come si può vedere nella popolazione attiva non c’è stato l’impatto devastante comunicato dal sistema dei media: si può vedere che sostanzialmente tutto rientra nella normalità per quanto riguarda la mortalità. Nel terzo grafico si vede un forte cambiamento, la configurazione delle curve cambia radicalmente: si nota l’impennata della mortalità da metà marzo 2020, con il successivo rientro nella normalità ai primi di aprile (dato da confermare con le settimane successive, non ancora disponibili al 4 maggio).
In pratica c’è stata una “decimazione” della popolazione molto anziana, peraltro già messa a dura prova negli anni precedenti, come dimostrano i dati iniziali di ogni anno riportato nel grafico a fig. 1, delle principali città italiane.
I dati sulla mortalità al 4 maggio 2020
Il Rapporto del 4 maggio ISTAT-ISS, sulla mortalità al 31 marzo, è stato un passo indietro, prontamente rilanciato dai giornali, con i dati sotto analisi retrocessi di alcuni giorni. Anche il tanto atteso aggiornamento del precedente dato diffuso il 17 aprile purtroppo non è stato fatto con la semplice aggiunta delle settimane successive. In questo modo si è creata confusione e la non paragonabilità delle serie storiche. Con un po’ di pazienza e fortuna, nei vari data-set rilasciati il giorno successivo dall’Istat, si possono ricavare alcune cifre molto interessanti. Nel seguente grafico sono riportati i dati mensili, non più settimanali, con l’aggiunta dei primi quindici giorni di aprile (11 giorni in più). Si riesce in parte ad avere un riscontro all’ipotesi formulata nel precedente paragrafo, ovvero se sia in corso il rientro della mortalità su livelli normali, come sembra di capire dal dato dell’ultima settimana di marzo-inizio di aprile. Ora con questa modesta aggiunta la risposta su base statistica è certamente positiva.
A questo punto è importante verificare i “danni” effettivi sulle varie componenti socio-demografiche, cioè gli effetti della mortalità sulle varie sottopopolazioni: giovanissimi, gli attivi, la terza e la quarta età. I grafici 2, 3 e 4 contengono delle curve cumulate con i dati al 15 aprile, dove è possibile osservare il trend e il punto di incrocio dei dati tra il 2020 e l’anno precedente. L’Istat ha messo a disposizione sul suo sito web un ottimo strumento di visualizzazione grafica dei dati, che permette di verificare subito il trend in corso. Il punto di incrocio si è verificato il 23 marzo, quando i morti 2020 hanno superato quelli del 2019. La classe 0-14 anni, fortunatamente, non rileva effetti negativi, per cui andrebbe ripensato il blocco. Nell’ambito della popolazione attiva 15-64 anni non si segnalano particolari danni, ad esclusione della coorte 55-64 anni che ha avuto un tasso di mortalità medio più alto in questo periodo. In Italia, come si è visto a pag.8, intorno al 4% dei casi.
Il grosso della mortalità a Milano è dovuta alla 3° e 4° età, pari a circa 92,7% sul totale dei decessi. Nel grafico n.5 si osserva che la linea rossa tende nel mese di aprile a diventare asintotica, a stabilizzarsi per un prossimo rientro. L’incremento di mortalità sull’anno precedente è di 857 morti.
Bergamo – Analisi mortalità per classi di età in serie storica negli ultimi anni
Bologna – Numero di morti per classi di età in serie storica negli ultimi anni
Come si può osservare il dato storico di alcuni anni precedenti sono peggiori di quello attuale, in particolare quello del gennaio 2018 (dati ISTAT).
Note sui dati mortalità
Il quadro normativo
Dopo la delibera del Consiglio dei Ministri con la dichiarazione di emergenza sanitaria nazionale, 30 gennaio 2020, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 1° Febbraio 2020, si è creata una notevole confusione nella diffusione dei dati epidemiologici. Tale confusione è dovuta essenzialmente alla sovrapposizione di vari soggetti, alcuni estranei al campo statistico, con l’attivazione di più fonti ufficiali titolate, senza fornire la validazione con le prescritte metodologie. Si è verificato ad esempio, che un soggetto come la Protezione civile, si proponesse giornalmente sui mezzi di comunicazione come referente informativo. Il Sistema Sanitario nazionale e il Sistema Statistico nazionale di fatto sono stati messi da parte dalla estemporanea azione di una Istituzione dello Stato, in forza di un limitato incarico emergenziale. La frequenza giornaliera delle apparizioni in TV della Protezione civile appaiata a quella del commissario per l’emergenza (Repubblica 51 il 18.4.2020 sul caso di Milano 52), ha evidenziato una sostanziale confusione, a scapito delle fonti ufficiali. I dati che sono stati diffusi dall’Istat il 17 aprile segnalano molte cose, in particolare dopo averli analizzati, si rileva che non si è verificata alcuna tutela adeguata delle persone più a rischio, che sono sempre gli anziani con più di 75anni.
Quali numeri sono buoni?
Il sistema di raccolta dei dati sulla mortalità passa attraverso lo stato civile e l’anagrafe dei comuni, che trattano le schede relative ad ogni decesso (dei residenti e dei non residenti nel comune), per finire all’Istat per il controllo e l’assemblaggio nazionale. I dati affidabili sono quelli ufficiali, ottenuti tramite una filiera di produzione molto rigorosa. Il Sistema Statistico Nazionale raccoglie con sistematicità i dati demografici, sanitari, agricoli, delle attività sociali, economiche e ambientali. Il perno del sistema è l’Istat, che riferisce ogni anno al Parlamento, come organo terzo indipendente dalla guida politica. Questa architettura è la realizzazione concreta del concetto di separazione delle funzioni, tra guida politica e controllo. La statistica è utile sia come controllo dell’azione dell’esecutivo che di supporto alle decisioni che il Governo affronta giorno per giorno. In questo schema la Protezione civile non ha un ruolo tecnico, se non quello di gestire un proprio sistema di sorveglianza per conto del Governo. In questo modo è apparsa come un oggetto estraneo che si esprime con un linguaggio molto approssimativo, sovrapponendosi alle funzioni assegnate dalla legge ad altri (quello che è successo a marzo- aprile 2020 quando ogni sera la Protezione civile in conferenza stampa forniva cifre grezze di giornata provenienti dal suo sistema, molto parziali e incomplete senza i dati sulla mortalità per classe e tutte le altre cause). E’ indispensabile collocare il singolo dato in un contesto informativo, cioè in rapporto con il dato medio delle morti per giorno nello stesso periodo degli ultimi anni, per classi di età.
Altre proposte in campo
Una breve 53 compare sul web il 26 aprile, rilancia il nome di Zuliani, molto conosciuto dagli addetti ai lavori (statistici): “Sarebbe da irresponsabili affrontare la ‘fase 2’ senza fare ogni sforzo per conoscere una stima reale del numero dei contagiati in Italia. Per questo è assurdo e inaccettabile il perdurante rifiuto da parte del Governo di accogliere la proposta – avanzata ormai un mese fa dagli ex Presidenti ISTAT Zuliani e Alleva rilanciata da Luca Ricolfi – di procedere all’individuazione di un campione rappresentativo della popolazione italiana sul quale fare il tampone” dichiara Marco Cappato..” Incuriosito dalla proposta, cerco altre notizie e trovo un articolo sul giornale online Pensalibero 54:
“..Così Alberto Zuliani, ex Presidente ISTAT, nel corso dell’appuntamento settimanale in diretta ogni sabato dalle 9.45 alle 13 sulle pagine Facebook e YouTube dell’Associazione Luca Coscioni, intitolato “Coronavirus Scienza e Diritti, affrontare l’emergenza, preparare il futuro” moderato dai vertici dell’associazione, il Prof. Michele De Luca, Filomena Gallo, Marco Cappato e il Presidente di Science for Democracy Marco Perduca.
Sono passate ormai diverse settimane da quando illustri statistici – tra i quali gli ex-Presidenti dell’ISTAT Alberto Zuliani e Giorgio Alleva, hanno proposto una iniziativa fondamentale per sapere quanti sono effettivamente i contagiati da Covid 19: effettuare i tamponi su un campione rappresentativo della popolazione italiana. Con poche migliaia di tamponi finalmente potremmo avere una stima affidabile della reale diffusione della malattia, invece di basarci solo sui dati della Protezione civile che – come è noto – rappresentano solo i risultati ottenuti su una parte della popolazione più a rischio (sintomatici, operatori sanitari).
“Collegare scienza e politica prendendo misure basate su metodo scientifico, anziché assistere a questa cacofonia di voci e previsioni improvvisate sulla riapertura, priva di ogni ragionamento ponderato – ha commentato Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni – Viviamo un momento di sospensione dalla democrazia. Infatti non ha nemmeno luogo un vero dibattito pubblico in Parlamento e nelle assemblee regionali e locali; sono sospese le iniziative di democrazia popolare; è negato l’esercizio del diritto all’accesso agli atti dell’amministrazione pubblica (cosiddetto FOIA) e del diritto di iniziativa popolare (referendum, leggi, delibere). Si può sospendere la democrazia per un paio di settimane, ma ora che si prevedono mesi di misure restrittive è ancora più importante che le istituzioni invertano la rotta, soprattutto per mettere a disposizione le informazioni che possono servire ai ricercatori e ai media per condurre analisi e dare comunicazioni affidabili. Ecco perchè come Associazione Luca Coscioni chiediamo al Governo e alle Regioni di accogliere la proposta di Zuliani e degli altri statistici. Chiediamo anche alla Protezione civile di accogliere la richiesta presentata dalla Presidente della Società Italiana di Statistica, Monica Pratesi, di poter ottenere per scopi di ricerca i dati attualmente in possesso della Protezione civile e da essa gestiti in un regime di immotivata segretezza”.
Cerco su web che cosa ha detto Luca Ricolfi e trovo un interessante articolo pubblicato dal Messaggero, ripreso e pubblicato sul sito 55 della FondazioneHume.it, utile per la parte metodologica, che il suo mestiere principale come docente universitario:
“…Che dire, dunque?
Forse semplicemente a che punto siamo, quel che sappiamo e quel che non sappiamo.
Soprattutto quel che non sappiamo, perché nessuno può pensare di governare un’epidemia senza i dati di base della situazione, e senza strumenti di monitoraggio ragionevolmente precisi.
Ignoranza 1. Non sappiamo quanti sono i contagiati, né quanti fra i contagiati sono tuttora contagiosi. E non lo sappiamo innanzitutto perché, nonostante fin da metà marzo vi fossero proposte di condurre un’indagine su un campione nazionale rappresentativo, e per quanto alla fine anche le autorità si fossero convinte della sua utilità, il pachiderma dell’apparato addetto all’indagine nazionale non ha ancora fornito un solo bit di informazione. Dunque, se vogliamo avere un’idea della diffusione del contagio siamo costretti a ricorrere a stime ultra-incerte, che viaggiano arditamente fra i 2 e i 12 milioni di persone.
Ignoranza 2. Non conosciamo neppure la diffusione territoriale relativa del contagio. Il dato meno inquinato di cui disponiamo è quello dei morti per Covid-19 in ogni regione. Ma da quando si è appreso che non solo il numero dei morti effettivo è molto superiore a quello ufficiale (da 2 a 4 volte), ma il numero oscuro dei morti nascosti è estremamente variabile da regione a regione, da provincia a provincia, da comune a comune, siamo costretti a concludere che la distribuzione territoriale del contagio potrebbe essere molto diversa da quella suggerita dai morti per abitante, e che i rischi per il Sud potrebbero essere sensibilmente maggiori di quel che si pensa basandosi sul numero di morti ufficiali (del numero di contagiati fornito dalla Protezione Civile non vale neppure la pena di parlare, tanta è la loro dipendenza dai tamponi effettuati in ogni territorio). E dire che, per saperne di più, basterebbe che le autorità, anziché trincerarsi dietro il paravento della privacy, si degnassero di comunicare il numero di morti comune per comune.
Ignoranza 3. Non sappiamo a che velocità viaggia effettivamente l’epidemia, nonostante vi siano esperti che presumono di conoscere il cosiddetto “numero riproduttivo” (ossia il numero di contagiati per persona) addirittura regione per regione.
Credo non a tutti sia chiaro che i numeri che quotidianamente ci vengono comunicati dalla Protezione civile non si riferiscono al “mare” dei contagiati, ma a un “laghetto” di pazienti intercettati dalle autorità sanitarie. Nessuno conosce esattamente le dimensioni relative del laghetto rispetto al mare, ma le stime più ottimistiche dicono che il mare potrebbe essere “solo” 10 o 20 volte più grande del laghetto, mentre le più pessimistiche (vedi la virologa Ilaria Capua) si spingono ad ipotizzare che possa essere 100 volte tanto (la stima della Fondazione Hume, che verrà pubblicata nei prossimi giorni, è che il mare sia circa 50 volte più grande del laghetto).
Questo significa che, quando la sera ascoltiamo con trepidazione le cifre dei nuovi casi, quello di cui gli esperti ci stanno parlando è quel che succede nel laghetto che loro riescono ad osservare, mentre di quel che capita nel restante 90, 95 o 98% della realtà nulla di preciso è dato sapere.
Dobbiamo concludere che stiamo per ripartire, ma nulla sappiamo dell’epidemia?
Non esattamente. Sfortunatamente alcune cose, invece, le sappiamo eccome, e non sono cose che ci possano rassicurare.
Che cosa sappiamo?
Quasi tutto quel che sappiamo è legato ai decessi accertati. Rispetto ai casi, infatti, i decessi hanno molto minori possibilità di essere occultati. E’ vero, ci sono i decessi nascosti nelle residenze per anziani. E ci sono le persone lasciate a casa a morire perché nessuno è venuto a visitarle, o il numero verde non risponde, o il 118 non arriva, o una mail si è perduta nel labirinto della sanità moderna e digitalizzata. Ma, nonostante tutto ciò, resta il fatto che il numero di morti nascosti può essere 2 o 3 volte il numero di morti ufficiali, ma non 20, 30, o 100 volte, come avviene nel caso dei contagiati non diagnosticati. Il “mare” dei morti totali è più grande del “lago” dei morti accertati, ma non è immensamente più grande. Di qui un’importante conseguenza: se vogliamo avere un’idea dell’andamento dell’epidemia, l’evoluzione dei decessi è la migliore (o la meno inaccurata) fonte di informazione di cui disponiamo (anche le ospedalizzazioni sarebbero una buona fonte, se solo a Protezione Civile fornisse dati un po’ più analitici).
Ebbene, lavorando sui decessi, alcune cose possiamo dirle con ragionevole sicurezza…”
Questo parere conferma la scelta metodologica che ho fatto sui dati ISTAT. Il 18 aprile appena pubblicati i dati della mortalità da parte dell’Istat, si capiva che potevano essere la chiave interpretativa giusta, con i grafici e le tabelle qui pubblicate.
Sul Corriere della sera del 28 aprile appare un’inchiesta di Milena Gabanelli 56 basata su un’analisi dell’ISPI (da non confondere con l’ ISPIG):
“…Un’elaborazione dell’Istituto per gli studi di Politica internazionale(Ispi) sui morti registrati dai rispettivi Istituti di statistica nazionali, che Data-room consulta in anteprima, ci permette di mettere a confronto Paese per Paese il numero dei morti di quest’anno con quelli degli anni precedenti. La differenza dovrebbe corrispondere alle morti da Covid-19, ma rispetto ai dati comunicati durante i mesi dell’epidemia c’è una notevole distanza. Cosa vuol dire? Che sono i morti sottostimati, cioè i pazienti che hanno contratto la malattia ma non sono stati tamponati e quelli deceduti per effetti collaterali del coronavirus: dai pazienti con infarti, ictus, aneurismi, o altre patologie, non visitati e soccorsi in tempo a causa degli ospedali pieni. Una volta individuato questo numero è possibile sapere anche quali sono i Paesi che hanno barato di più nella comunicazione e che hanno il tasso di mortalità in eccesso più alto per milione di abitanti.…
Vittime reali e morti comunicati
Questo aumento dei decessi, in gergo statistico, viene definito «eccesso di mortalità». Per fare un passo in avanti occorre quantificare la distanza che c’è tra le vittime in più che si contano quest’anno e i morti che ci vengono comunicati tutti i giorni dalla Protezione civile e dalle autorità degli altri Paesi. Il confronto fa emergere un numero: quello delle vittime non contemplate dai bollettini Covid-19, ovvero la sottostima. In cima alla graduatoria in termini assoluti c’è il Regno Unito (meno 8.184), poi la Spagna (meno 7.326), quindi l’Italia (meno 5.547), i Paesi Bassi (meno 3.797), la Francia (meno 3.679), la Svizzera (meno 339) e la Svezia (298). Annota il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa: «Qui capiamo, ancora, cosa manca per un approccio più sistematico alla Fase 2: riuscire a tener traccia delle persone decedute è cruciale per poter comprendere come stia procedendo realmente l’epidemia in ciascun Paese».
Lo studio 57 consultabile sul sito web.
Da questa carrellata di opinioni si vede la diversa attitudine nell’analisi dei dati statistici, i differenti stili scientifici, anche molto discutibili, comunque sono attivi e propositivi, nettamente diversi da quelli assunti dalle autorità governative. Non so come spiegare la differenza, senza offendere nessuno: è come se di punto in bianco un elettricista volesse fare l’avvocato, oppure un avvocato civilista volesse fare lo statistico. E’ possibile a condizione che ci sia uno studio e una preparazione adeguata.
In conclusione, si è visto che esistevano fin da subito modalità e mezzi per agire in modo mirato ed efficace, come sostenuto da Zuliani: un metodo di indagine campionario estremamente rapido, giudizioso e con costi estremamente contenuti, con un possibile ritorno informativo eccezionale. L’Esecutivo e i principali esponenti politici forse non ne hanno compresa la necessità.
37 Si discute del risparmio delle famiglie italiane, ma anche di finanza pubblica e di responsabilità della Politica. Si inizia a capire che è possibile e importante:
– proteggere il risparmio nazionale in ogni sua forma;
– difendere e rilanciare il modello sociale, culturale ed economico italiano, esposto a gravissimi rischi.
Chi è interessato ad approfondire la proposta: https://pianodisalvezzanazionale.it/ .
38 L’autore Fulvio Marcellitti è ispettore della Polizia di Stato.
39 Il presidente dell’istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro ha dichiarato che occorre prepararsi a convivere con il coronavirus almeno sino ai primi mesi del 2021.
40 ‘Foursquare è una rete sociale basata sulla geolocalizzazione disponibile tramite web e applicazioni per dispositivi mobili.’.
41 da Wikipedia: ‘Con sniffing (dall’inglese, odorare), in informatica e nelle telecomunicazioni, si definisce l’attività di intercettazione passiva dei dati che transitano in una rete telematica.’
42 Per una rassegna delle misure adottate per il contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica cfr. http://www.governo.it/it/iorestoacasa-misure-governo.
43 Il tema richiede invero un’analisi molto approfondita a cui la recente dottrina costituzionalistica ha dedicato molti contributi (cui si rinvia) ma procedendo con singoli spunti di riflessione ci si interroga se le limitazioni alla libertà individuale introdotte durante l’emergenza sanitaria – incidendo su alcuni diritti fondamentali della persona – siano legittime e conformi al sistema di tutele che la Costituzione italiana riconosce ai diritti fondamentali. In particolare, entrano in gioco due diversi piani d’indagine. Da un lato, ci si chiede se – nel tentativo di contenere la diffusione dell’epidemia – la libertà individuale potesse essere limitata in modo così radicale, quale risulta dal divieto assoluto imposto a tutti i cittadini italiani di spostarsi e circolare se non per stringenti motivi di rilevante necessità (art. 1 del d.l. n. 6). Dall’altro lato, ci si interroga se tale contrazione della libertà dei singoli, che ha assunto via via contorni mutevoli in quanto legati all’andamento dell’epidemia, qualora si ritenesse giustificata per la tutela di un altro bene/valore di rango costituzionale (quale il diritto alla salute), potesse essere legittimamente disposta dapprima in termini più generali attraverso un decreto-legge (che è una fonte primaria del diritto affidata al Governo ai sensi dell’art. 77 Cost.) e poi in modo ulteriormente dettagliato e periodicamente modulato mediante i DPCM, che sono atti amministrativi generali di esclusiva spettanza del vertice dell’Esecutivo.
Si ritiene quindi opportuno proporre alcune brevi considerazioni sui capisaldi dogmatici del costituzionalismo moderno coinvolti nell’attuale vicenda istituzionale (diritti fondamentali, principio di legalità, riserva di legge) per poi tentare di dedurre alcune conclusioni – in termini di sistema – sulla legittimità costituzionale delle scelte adottate in questa situazione emergenziale.
La questione è tutt’ora aperta e molto dibattuta nell’ambito della dottrina costituzionalistica dove si rintraccia una polarizzazione tra coloro che contestano vigorosamente le scelte istituzionali sia sul piano della legittimità e della proporzionalità delle misure apprestate, sia sul piano della forma e quindi delle fonti utilizzate per la loro adozione, e coloro che invece, tenendo conto della assoluta imprevedibilità di un evento di tale diffusione e letalità, ritengono che la risposta delle istituzioni si sia comunque sviluppata entro l’argine della legalità costituzionale per cui, al di là del giudizio “politico” sulle scelte adottate dal Governo e confermate poi dal Parlamento in sede di conversione dei decreti legge, non sarebbe possibile rintracciare una violazione della Costituzione, né sul piano della tutela dei diritti fondamentali, né sul piano più strettamente istituzionale del rapporto tra Esecutivo e Legislativo.
44 Cfr. G. Azzariti, I limiti costituzionali della situazione d’emergenza provocata dal Covid-19, in Questione Giustizia, 27 marzo 2020.
45 Un’analoga riflessione può essere condotta sia con riguardo alla libertà di riunione (ex art. 17 Cost.), sia con riguardo alla libertà di associazione (ex art. 18 Cost.) che si differenzia dalla libertà di riunione solo per la struttura stabile e organizzata e il carattere duraturo.
46 Cfr. S. Prisco, F. Abbondante, I diritti al tempo del coronavirus. Un dialogo, in www.federalismi.it, 13 marzo 2020.
47 Cfr. L.A. Mazzarolli, «Riserva di legge» e «principio di legalità» in tempo di emergenza nazionale, in www.federalismi.it, 23 marzo 2020.
48 Intervista pubblicata il 24maggio 2020 dal Giornale Bergamo News sul sito: www.bergamonews.it/2020/05/24/covid-e-non-solo-il-carcere-esplode-usiamo-le-strutture-dismesse-sul-territorio/372985/
49 Il numero di contagi è una variabile molto incerta, che dipende quasi esclusivamente dalla capacità di rilevazione degli infettati da parte del sistema, quindi potenzialmente fuorviante se i sistemi di rilevazione sono disomogenei. Il numero di ricoveri è molto utile calcolare per la saturazione del sistema sanitario, ma non per altro. Il dato più consistente è quello del numero di decessi, che è un numero certo, ben rilevato in ogni luogo perché esiste un sistema di raccolta molto affidabile e sperimentato nel tempo. E’ gestito dall’Istat e dalle anagrafi-stato civile dei Comuni, con schede compilate da medici e sotto osservazione delle Aziende Sanitarie e dell’Istituto Sup. della Sanità. Il sistema di sorveglianza SiSMG raccoglie tutti questi dati e compila un Rapporto da cui sono estratti i grafici e le tabelle seguenti.
50 Elaborazione propria su dati Istat
51 https://www.repubblica.it/politica/2020/04/18/news/coronavirus_paolo_gentiloni-254356753/:
In Lombardia cinque volte più morti civili che nella seconda guerra mondiale.
È questo il dato che Domenico Arcuri, commissario all’emergenza, fornisce in conferenza stampa per chiarire quale deve essere la futura strategia per il Paese. Arcuri: “Senza sicurezza non c’è ripresa” Tra l’11 giugno 1940 e il primo maggio 1945 – dice – a Milano sono morti sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale 2 mila civili, in 5 anni; in due mesi in Lombardia per il coronavirus sono morte 11.851 civili, 5 volte di più”. Da qui la riflessione: non può esserci ripartenza senza la salute. “Dobbiamo agire con cautela e prudenza come in questi mesi – dice Arcuri – è clamorosamente sbagliato comunicare un conflitto tra salute e ripresa economica. Senza salute, la ripresa durerebbe un battito di ciglia, bisogna tenere insieme questi due aspetti. Dobbiamo ripartire ma garantendo la salute e la sicurezza del numero massimo di cittadini possibile. Serve esperienza e intelligenza. Non abbiamo tempo per dibattiti”.
52 Da Repubblica.it: “ il commissario Domenico Arcuri, Amministratore delegato di Invitalia, l’agenzia nazionale per gli investimenti e lo sviluppo d’impresa controllata dal ministero dell’Economia. Riconfermato alla guida, per la quinta volta, appena tre mesi fa.”
53 https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/comunicati/fase-2-proposte-associazione-coscioni/
54 https://www.pensalibero.it/coronavirus-proposta-dellex-presidente-istat-zuliani/
55 L’azzardo della ripartenza, 26 aprile 2020 – di Luca Ricolfi
56 https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/morti-covid-tutte-bugie-dell-europa-ecco-dati-reali/1c28ca00-88b3-11ea-96e3-c7b28bb4a705-va.shtml: Morti Covid, tutte le bugie in Europa. Ecco i dati reali
di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
57 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fase-2-morti-sommerse-eccesso-di-zelo-25878
Gli Autori
Giorgio Galli
Storico e saggista, già docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, è uno dei massimi politologi italiani. Già Presidente dell’Umanitaria (1978) a Milano e direttore del Mulino a Bologna. E’ stato presidente della SISE – Società Italiana di Studi Elettorali – dal 1987 al 1991. Tra le sue opere: Hitler e il nazismo magico (Rizzoli 1989), Storia dei partiti politici europei (Rizzoli 1990), Partiti politici italiani (1943-2004) (Rizzoli 1991), Mezzo secolo di Dc (Baldini Castoldi Dalai 2004), Esoterismo e politica (Rubbettino 2010), L’impero antimoderno (Bietti 2013), Il golpe invisibile (Kaos 2015). “Scacco alla superclass e Arricchirsi impoverendo” con Francesco Bochicchio (Mimesis), “Come si comanda il mondo” con Mario Caligiuri (Rubbettino) e “Multinazionali contro democrazia: evitare il buco nero” (Algra editore). Direttore della Fondazione Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici c/o la Società Umanitaria dal 2008 al 2017. Presidente dell’Istituto di Storico Politico e Internazionale – ISPIG – dal 2018.
Felice C. Besostri
Avvocato amministrativista, docente di Diritto Pubblico Comparato a.a. 2005/2009. Senatore nella XIII Legislatura, membro Assemblea Parlamentare Consiglio d’Europa 1997/2001 (Commissione Giuridica dei Diritti dell’Uomo, Commissione Ambiente, sottocommissione selezione dei giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Esercita la professione di avvocato iscritto al Consiglio dell’Ordine di Milano. Ricercatore a riposo del Dipartimento Studi Internazionali dell’Università degli Studi di Milano nell’ambito del diritto costituzionale comparato. Presidente dei Comitati Regionali di Controllo di Milano e della Regione Lombardia (1976-1987). Ricorrente contro ammissione dei referendum elettorali e la legge elettorale per il Parlamento europeo, interveniente nei giudizi contro la legge elettorale per il Parlamento nazionale. Consigliere dell’ISPIG.
Roberto Brambilla
Ingegnere. 20 mesi di servizio civile al WWF, poi 18 anni come Segretario del WWF Lombardia. Nel 2000 é tra i fondatori di Rete Lilliput dove è stato promotore del Gruppo di Lavoro Impronta ecologica. Nel giugno del 2009 con altri ha fondato la Lista Civica Concorezzo – una lista indipendente dai partiti tradizionali – diventando consigliere comunale. Nel 2010 con altri ha lanciato la Rete civica italiana. Tra i promotori della “Settimana nazionale della democrazia diretta” del 2011 da cui è nato il progetto di legge di iniziativa popolare “Quorum zero più democrazia”. Questa Rete ha generato nel 2013 la Lista Civica Italiana www.listacivicaitaliana.org per dare un orizzonte nazionale alle liste civiche. Promotore con il Distretto di economia solidale della Brianza della filiera corta biologica “Spiga e Madia”. Vuole proporre ai vari movimenti civici di lavorare insieme con un impegno diretto in Politica. (mail: r.brambilla@mclink.it)
Daniele Vittorio Comero
(1955) Vice presidente dell’ISPIG, Istituto Storico Politico e Internazionale diretto da Giorgio Galli. Ha lavorato alla Provincia di Milano e alla Città Metropolitana di Milano dal 1987 al 2016 come responsabile dell’Osservatorio elettorale, statistico e demografico metropolitano. Direttore del Periodico CIVICA è laureato in Scienze Politiche alla Statale di Milano e diplomato in Statistica alla Cattolica di Milano. Ha partecipato a numerosi comitati di studio con l’Istat. Membro del Comitato scientifico della Società Italiana di Studi Elettorali – SISE – dal 1995 al 2014. Ha scritto diversi libri e saggi demografici e in campo politico-statistico elettorale, con Giorgio Galli: Stella e Corona (2011) Ricostruire la Democrazia (2012) e L’Urna di Pandora (2014) anche con Felice Besostri. Milano al voto con Giancarlo Rovati (1999), “Il Modello dell’Elezione Diretta”, Prometheus, (1998). Coordinatore delegazione SISE e osservatore elettorale a Mosca nel 1996.
Fabrizio Gonni
Ingegnere. Master in Economia Aziendale, a completamento della preparazione multidisciplinare.
Ha operato molti anni in una multinazionale dell’Information Technology, con varie posizioni, nell’area tecnica, commerciale, di Direzione di Marketing, in particolare si è occupato del marketing di massa in Italia dei Personal Computer. E’ stato amministratore di una società start up di software e servizi, operante nei sistemi grafici multimediali, introducendo in Italia prodotti innovativi di aziende americane, con rapporti diretti. Ha di conseguenza maturato diretta esperienza dell’insieme delle problematiche complesse di mercato, finanza, credito, produzione delle piccole medie imprese. In seguito è stato consulente di marketing per aziende start-up nel settore ITC . Attualmente si interessa direttamente di programmi software e sistemi di Robot Advisor per la previsione dell’andamento dei mercati finanziari, Americani e Europei. E’ autore del libro “ Euro Enigma – L’Italia e la futura crisi internazionale “, edito da Simonelli Editore. Collabora a programmi no-profit di varie Associazioni e all’ISPIG.
Guido Grossi
già responsabile della struttura centrale dei Mercati Finanziari della BNL e dirigente responsabile della struttura centrale dei Mercati Finanziari della BNL. E’ stato vice presidente di AticForex, l’associazione dei tesorieri e cambisti italiani e membro del Cda di e-Mid Spa, società mercato per la negoziazione dei depositi interbancari. Membro del gruppo di contatto presso il MEF per la negoziazione dei titoli di Stato sulla piattaforma MTS. Membro del gruppo di contatto presso Banca d’Italia per la gestione della liquidità.Presidente di Sovranità Popolare, A.P.S. editrice dell’omonima rivista mensile cartacea. Blogger, coautore del Piano di Salvezza Nazionale.
Gabriele Maestri
Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate (Sapienza Università di Roma) e in Scienze politiche (Università di Roma Tre); cultore di Diritto dei partiti italiano e comparato all’Università di Roma Tre, studioso di diritto costituzionale ed elettorale. Ha fondato e gestisce dal 2012 il sito www.isimbolidelladiscordia.it.
Ottorino Maggiore van Beest
Ingegnere. Da oltre 30 anni lavora nel mondo dell’impiantistica industriale, con lunghe permanenze anche in paesi esteri, produttori petroliferi (Iran ed Arabia Saudita). Ha iniziato in Enichem, poi Snamprogetti, successivamente consulente di direzione, amministratore delegato di aziende italiane; attualmente è consulente dell’amministratore delegato di società saudita. Coltiva un forte interesse per la geopolitica e la guerra economica.Conosce il mondo medio-orientale ove ha intessuto molteplici relazioni ed ha in programma di trasferirsi. Collabora con l’ISPIG. ( https://www.omvb.eu/index.php/en/)
Andrea Reggio
Manager in una importante azienda di impiantistica a livello globale, ha maturato un’esperienza professionale internazionale nella gestione assicurativa delle attività di alcuni importanti gruppi energetici e logistici. Attualmente lavora con più di 40 società in diversi paesi nel mondo. Questo gli consente di approfondire il suo interesse verso alcune aree geopolitiche particolarmente legate allo sfruttamento delle risorse energetiche.
Paolo Antonio Amadio
Ingegnere. Manager in ambito internazionale nel settore delle costruzioni e dell’automazione, studi universitari di psicologia, si occupa di “cambiamento & salute”.
Ignazio Rosenberg Colorni
Si è occupato di comunicazione e di editoria. Ha concepito, realizzato e gestito sistemi integrati di supporto, gestione e controllo per modelli innovativi di gestione nel campo dei servizi distribuiti sul territorio. Promuove progetti di “Social Business” in paesi dell’Asia e dell’Africa.
Sergio Scotti Camuzzi
Ordinario di diritto commerciale ed incaricato di Istituzioni di diritto dell’economia e del mercato finanziario nell’Università Cattolica di Milano. Avvocato abilitato al patrocinio presso le magistrature superiori.
Iscritto nel Registro dei Revisori Contabili. Esperto di diritto commerciale, societario e dei gruppi; di diritto dei pubblici appalti e concessioni (project financing). Ha svolto e svolge attività di consulenza ed assistenza per enti ed aziende operanti nel settore autostradale, delle telecomunicazioni, dei grandi lavori in Italia ed all’Estero. Esperto nella gestione dei contratti e delle “riserve”, ha svolto funzioni di avvocato o di arbitrio in arbitrati nazionali ed internazionali.
Fiorello Cortiana
(1955) Ha lavorato alla Provincia di Milano. Già assessore in Regione Lombardia Parchi e Territorio. Senatore dal 1996 al 2006. Presidente intergruppo Innovazione tecnologica e democrazia telematica. Rappresentante Senato al World Summit on Information Society ONU, membro del Internet Governance Forum. Con Rodotà, Gil, Lessig, Stallman appello “Internet Bill of Rights”, elemento di confronto all’Internet Governance Forum dell’ONU Rio contributo Dichiarazione Congiunta sull’Internet Bill of Rights Governi Italia -Brasile. Goodwill Ambassador OLPC.
Francesca Sgrò
Avvocato. E’ abilitata alle funzioni di Professore Associato (ASN) in Diritto costituzionale. E’ stata ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano e attualmente è funzionario presso il Ministero della Giustizia dove si occupa di contratti pubblici (avv.francescasgro@libero.it).
Antonio Nastasio
(1943) Laureato in Scienze politiche. Dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria, in quiescenza. Conosce molto bene la realtà delle carceri – istituti carcerari di Savona, Genova, Roma Rebibbia, Porto Azzurro, Pianosa, istituti lombardi (tutti) Liguria (tutti), Piemonte (tutti) oltre per incarichi speciali a Napoli, Palermo – e infine come direttore, con compiti di apertura e/o riorganizzazione UEPE (ex CSSA)(uffici esecuzione penale esterna) Milano, Brescia, Mantova, Torino, Genova, Massa Carrara, terminando come responsabile regionale Lombardia. Ha collaborato con varie Università nel campo specifico delle carceri.
Enzo Orlanducci
(1943) Docente ordinario in pensione. Autore di numerosi saggi, tra i quali: “Resistenza e Libertà a Roma” (1995), “Fotostoria della Repubblica” (1997), “Tra storia e memoria” (1998), “Cefalonia 1941-1944 un triennio di occupazione” (2004), “Prigionieri senza tutela – Con occhi di figli racconti di padri internati” (3 volumi – 2005), “Secondo Coscienza” (2007), “Percorsi Politici e Civili” (2011), “La funzione della Sardegna a favore dei paesi candidati U.E.” (2011).
Nicola Walter Palmieri
Doctor of Civil Law della McGill University. E’ stato per molti anni Avvocato a Milano ed è attualmente iscritto agli Albi professionali di New York (SDNY, USSC) e Québec (Montreal). Ha svolto l’attività di responsabile della funzione legale di alcune grandi società industriali, e ha scritto numerosi libri e articoli giuridici e di gestione delle crisi.