In silenzio gioite e soffrite
Se d’incanto non fosse spuntato il Mattarella bis, probabilmente la signora Elisabetta Belloni, capo dei nostri Servizi segreti, oggi sarebbe al Quirinale, spinta dall’ex premier Conte e dalla Lega, ma non dagli altri, a cominciare da Di Maio.
In settimana il ministro degli Esteri ha voluto incontrarla, probabilmente per spiegarle le ragioni del suo no. Dopo il faccia a faccia “chiarificatore” la signora Belloni ha rilasciato una dichiarazione, riportata subito il 1° febbraio dall’Ansa: «Di Maio è una persona leale».
Se davvero dette, sono parole stonate, che hanno provocato malumori in qualche ambiente parlamentare. Leale a chi, a che cosa? Il recupero di sovranità dell’Italia presuppone innanzitutto il capovolgimento di una vecchia logica che voleva lo Stato e le sue autorità politiche “fedeli” (o subordinati) ai Servizi e all’alta burocrazia pubblica, e non viceversa.
Non conosco la signora Belloni, ma tutti ne parlano bene. Quindi suppongo che sia stata fraintesa. Nel dubbio, comunque, meglio attenersi a un vecchio motto dell’intelligence: «In silenzio gioite e soffrite».
NdR.: nella foto, diffusa sui social da Di Maio stesso, si vedono i protagonisti seduti al tavolo: la Belloni educatamente ha mantenuto la mantella, Di Maio con le mani sul tavolo.
L’area pranzo è molto spartana (niente da bere, tovaglia assente, nessun piatto, neanche una briciola), fast food…?
La Costituzione può essere cambiata, ma non stuprata..
Torno sulla proposta del ‘presidenzialismo’ proposto in modo scomposto da Giorgia Meloni e incautamente sostenuto da qualche commentatore.
Preoccupa che oggi il tema del presidenzialismo venga affrontato con tanta spregiudicatezza da parte di alcune forze politiche, e sia in qualche modo “sponsorizzato” da campagne di stampa condotte con una leggerezza sconcertante.
Che il parlamentarismo oggi sia in crisi, è un dato di fatto. Che la funzione decisionale del sistema politico sia fortemente acciaccata, è altrettanto evidente. Che si debba porre rimedio, è indiscutibile. Che tra i vari rimedi possa essere presa in considerazione anche l’elezione diretta del presidente della Repubblica, non è una bestemmia.
Ma una riforma di tale portata non può essere attuata prescindendo da una ridefinizione equilibrata di tutti i poteri – decisionali e di controllo -, delle regole del gioco e degli arbitri. Ogni riforma al di fuori di questo quadro sarebbe una forzatura inaccettabile.
Negli ultimi trent’anni, purtroppo, si è proceduto a martellate, mentre sarebbe stata necessaria l’elezione di una nuova Assemblea costituente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nessun problema è stato risolto, mentre è cresciuto il caos politico-istituzionale. La Costituzione è un patto tra gentiluomini che contiene un “meccanismo” troppo delicato, va maneggiata con cura. Certamente può essere cambiata, migliorata e aggiornata ai tempi, ma non stuprata con riforme raffazzonate da improvvisati costituenti.
Il presidenzialismo della DC
Già nel suo “carteggio” Aldo Moro ne parlava, a ragion veduta. A parte alcune schegge “tecnocratiche”, per fortuna rimaste sempre ai margini della Dc, i leader scudocrociati erano profondamente parlamentaristi. Lo era anche Amintore Fanfani, a dispetto delle campagne contro il “fanfascismo” condotte da Lotta Continua nella prima metà degli anni Settanta. E’ vero che quand’era segretario del partito ci furono tentativi da parte di ambienti anglofili di convincerlo a sposare progetti “gollisti” in funzione antimorotea. Ma dalla documentazione esistente negli archivi britannici oggi sappiamo che egli declinò l’offerta. E fu proprio grazie a due ministri democristiani dell’epoca, Giulio Andreotti e Paolo Emilio Taviani (rispettivamente alla Difesa e agli Interni) se il “golpe bianco” di Edgardo Sogno e Randolfo Pacciardi fu “bruciato”. Furono loro, infatti, a inviare i dossier sui preparativi in corso al giudice istruttore torinese Luciano Violante, che aprì un’inchiesta. Non solo.
Alla vigilia dell’ora X, con un blitz improvviso attuato in una notte di ferragosto, Andreotti ordinò l’immediato trasferimento di diversi generali delle Forze Armate coinvolti nei piani di Sogno e Pacciardi, facendo saltare la catena di comando golpista.
Certo, né Sogno né Pacciardi, entrambi indiscussi antifascisti (anche se per i loro scopi non disdegnavano l’utilizzo di elementi borderline), volevano restaurare il regime del Ventennio. Ma nel contesto dell’epoca, in cui il parlamentarismo era il perno della nostra democrazia e nel contempo una forma di compensazione del sistema politico bloccato, le forzature presidenzialiste finivano per assumere inevitabilmente un carattere eversivo e autoritario. Perché minavano alla base l’equilibrio su cui poggiava il patto costituzionale tra Dc e Pci, che nell’immediato dopoguerra aveva impedito il “bagno di sangue”.
Tutto il mio plauso per l’autore dell’articolo, ma dire che “forzature presidenzialistiche avrebbero comportato aspetti eversivi ed autoritari” fa un pò sorridere alla luce degli anni ’70 e all’uccisione di Moro. Al contrario, a mio modesto avviso, forse sarebbe stata un’occasione per avviare una propria strada autonoma convincendo, chi da 75 anni ci sta pilotando, a mollare il cappio e ridarci una certa sovranità decisionale soprattutto in ambito geopolitico.