Luciano Garibaldi: ricordi genovesi e milanesi

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Un ricordo del Luciano genovese: ci vedevamo ai ‘Tre Merli’

Ogni qualvolta penso al tempo trascorso in compagnia di Luciano Garibaldi, ripenso ad un tempo culturalmente utile ed anche divertente sotto il profilo empatico. Si, perché aldilà delle sue indubbie qualità professionali, egli era un uomo, anzi un ‘signore’, di estrema acutezza, garbo, eleganza, senso dell’umorismo e predisposizione per la convivialità sottile, mai tediosa. Il Luciano che conobbi fu quello del suo periodo ‘genovese’ (lavorò al Corriere Mercantile, prima di abbandonare Genova per le grandi testate). Eravamo dunque compatrioti, ma ci univa un’amicizia mai dichiarata, bensì dimostrata dai comportamenti e dalle azioni, tramite un comune pensare e un comune condividere ideali e speranze. Luciano lo conobbi grazie ad un caro amico, il compianto professore Piero Vassallo, valente filosofo cattolico tradizionalista. A quell’epoca, parlo di decenni fa, ci si incontrava ai ‘Tre Merli’, trattoria e vineria genovese per anime creative ed erranti; effettivamente, nei primi anni Settanta, a Genova, eravamo persone ‘stimate, ma lebbrose’ in quanto sostenitori, con svariate sfumature, di una Tradizione culturale religiosa invisa alle chiese di Regime. Vita scomoda, ma appagante: per le nostre pubblicazioni avevamo il sostegno di pochi, coraggiosi editori, anche se, a dire il vero, Luciano era ormai acclamato a livello nazionale (ebbi la fortuna di averlo, in qualità di Prefatore per due miei libri). In quel clima ricordo Luciano, personaggio dalle mille sfaccettature, esibire passione frammista a flemma ed eleganza tutte britanniche, anche se l’Inghilterra non è certo mai stata nelle sue corde: era infatti italianissimo e patriota di lontane radici cattoliche. Tradizionalista, ma ‘esploratore’ e profondo conoscitore di vicende storiche – soprattutto quelle ‘scomode’ della Seconda Guerra Mondiale – dimenticate o sepolte dall’ipocrisia, dalla paura o dal buonismo. Non sta a me ricordare le sue opere (numerosissime) o la sua brillante carriera giornalistica; ciò che più mi sta a cuore è il ricordare, come ho già detto, il ‘valore del tempo’ trascorso con lui e con altri amici ai ‘Tre Merli’, locale antico e duro a morire, spesso in compagnia di Vassallo, del saggista Paolo Deotto e di altri giornalisti e scrittori borderline. Ci si vedeva, soprattutto, alla sera, sotto il pergolato, davanti ad un piatto di trenette al pesto o di acciughe fritte, complice l’immancabile ampolla grande e fredda di ‘Bianchetta’ (vinello bianco della Val Polcevera da lui molto gradito). Si partiva con argomenti diciamo seri, ci si confrontava, anche in maniera accesa, per poi passare a parlare di sport (Luciano era un esperto di mezzi a motore), di autori a noi cari, e di donne. Si, di donne, perché Luciano apprezzava, seppur con garbo, il tema, come del resto tutti noi. Luciano era, infatti, un uomo a tutto tondo ed un esteta. Studioso, ma attento a tutto: attento ai libri, ma anche attento alla vita, poiché intelligente e denso di umanità. Luciano sapeva bene che la cultura allorquando priva di intelletto e di esperienza di vita, serve a ben poco.  Questo fu il Luciano Garibaldi che conobbi, in un tempo quasi immemore, ma che continuo a vivere tutt’oggi, con lievità e riconoscenza.

Alberto Rosselli

Direttore responsabile della Rivista Storia Verità – www.storiaverita.org

 

Un ricordo del Luciano milanese

“La sottomissione alla verità”

Riposa, ora, dopo la “buona battaglia”, il leone del giornalismo storico italiano, Luciano Garibaldi, che ha dedicato tutta la sua vita a quella “sottomissione dello studioso alla verità”, per usare le sue stesse parole, che dovrebbe essere oggi più che mai, la bussola da seguire per chi ha la responsabilità di narrare il nostro passato in modo limpido ed equilibrato. Soprattutto in un paese come l’Italia, che sembra avere nella faziosità, fin dal tempo dei guelfi e dei ghibellini, uno dei suoi tratti distintivi, si potrebbe dire perfino il “marchio”. Se ancora oggi sembra lontana una vera riconciliazione nazionale, e la possibilità di essere, finalmente una nazione “normale”, e se si continuano a utilizzare “fascismo” e “antifascismo” come parole-bandiera, ormai fuori epoca, solo per attizzare litigiosità e lucrare interessi di bottega politica, ancora molto lavoro è da fare. Luciano è sempre stato fra i giornalisti più scomodi, in un paese del genere. Scomoda la sua passione per la ricerca, per l’abbeverarsi alla fonte dei testimoni, quelli che sanno “com’è andata veramente”, dietro il paravento delle parole d’ordine. Scomodo il suo essere “contro” a una corrente culturale dominante egemonizzata, direttamente o indirettamente, da un solo colore politico. Eppure, è stato un pioniere. Fra i primi a intervistare, fin dal 1964, i protagonisti superstiti del fallito golpe contro Hitler del 20 luglio 1944, andando di persona a setacciare la Germania. Non è il caso qui che di ricordare solo alcune testate fra quelle impreziosite dalla sua penna, da Gente a Il Giornale, da Avvenire a Quattroruote. Già, Quattroruote, in omaggio alla sua grande passione per l’automobilismo sportivo, spesso rievocata nei nostri caffè milanesi, quando mi rammentava che da giovane aveva partecipato a gare di regolarità, stile Mille Miglia, per intenderci. Conoscevo Luciano dal 2005 e non posso che ringraziarlo per la fiducia con cui mi ha sempre incoraggiato in questo bellissimo, ma duro, mestiere, che richiede sempre precisione, responsabilità, acume. Più volte partecipai a convegni storici da lui organizzati e a mia volta recensii vari dei suoi libri. A uno assicurai un pizzico di collaborazione. Quando nel 2013 uscì per Mondadori il suo “Gli eroi di Montecassino. Storia dei polacchi che liberarono l’Italia”, in appendice volle ospitare una mia intervista a uno degli ultimi superstiti, Antoni Mosiewicz, allora centenario, del corpo di spedizione polacco del generale Wladyslaw Anders, che dal 1943 al 1945 combattè insieme agli anglo-americani contro i tedeschi, risalendo la penisola. Gentile, disponibile, sempre pronto a spronare i giovani con l’esempio, Luciano attraversò la stagione degli anni di piombo, quando sapeva di essere anch’egli nel mirino del terrorismo, ma era pronto a difendersi. Stampo d’altri tempi, merce rara oggi, eppure mai serioso. Incontrarsi con lui in qualche bar del centro di Milano, per commentare i fatti di oggi e quelli di ieri, era al tempo stesso un piacere e una piccola lezione universitaria, dall’alto della sua esperienza. Quasi una festa, tra sorrisi di amicizia e lo spirito dell’eterno ragazzo che, nella passione per la conoscenza e l’avventura non lo abbandonò mai. Il Leone che tanto ha combattuto, e vinto, ora riposa.

Mirko Molteni

Giornalista e saggista di storia aeronautica e militare

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