La Corte Internazionale di Giustizia (C.I.G. in inglese Icj) dell’Aja ha pubblicato, il 19 luglio 2024, il parere consultivo sulle conseguenze legali derivanti dalle politiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati, inclusa Gerusalemme Est. È un documento giuridico straordinario, e sarebbe dirompente e dirimente se i perfidi compilatori dello Statuto delle Nazioni Unite non avessero disseminato, in ogni angolo, delle trappole[1] giuridiche. Questo Tribunale mondiale in pratica serve a poco, emette pareri[2] consultivi senza forza vincolante ed esecutiva. La C.I.G. ha affrontato anche altri casi di Israele di violazione al diritto internazionale. Ricordo i fatti base: dal 14 maggio 1948 costituzione dello Stato in base a Risoluzione AG 181 (II) del 29 novembre 1947, alla domanda di ammissione all’ONU Israele aveva dichiarato “respect of the implementation of said resolution”. Seguì la Guerra dei Sei Giorni (1967), Israele occupò i territori della Palestina già sotto Mandato Britannico. Alla richiesta di ritirarsi dai territori occupati, Abba Eban rispose, credendosi faceto, che, anche se prima Israele aveva promesso di ritirarsi dai territori, aveva nel frattempo cambiato idea e avrebbe continuato a occuparli. Il Consiglio di Sicurezza (CdS) decise, con Risoluzione 242 (1967), che ogni acquisizione di territorio con azione di guerra era inammissibile, che Israele avrebbe dovuto ritirarsi da[i] territori occupati, e che non avrebbe dovuto modificare lo stato della città di Gerusalemme. Con Ris. 298 (1971), il CdS mise in chiaro che qualunque azione intrapresa da Israele per cambiare lo stato della Città di Gerusalemme, incluse espropriazioni, immigrazione di coloni e legislazione intesa all’incorporazione in terra israeliana di settori di territori occupati era totalmente invalida, e che ogni cambiamento dello status creato dalle risoluzioni costitutive era invalido. Oltre a rafforzare l’ordine di osservanza della 242 con l’aggiunta della Risoluzione 338 (1973) del Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea Generale ribadì, con Risoluzioni 3210 e 3236 (1974) che i Palestinesi avevano diritto alla auto-determinazione. Ciononostante, Israele fece Gerusalemme capitale del suo Stato (1980). Gli israeliani entrarono nei Territori Palestinesi Occupati portandovi mezzo milione di coloni in Cisgiordania e 230.000 in Gerusalemme Est. Il 15 novembre 1988, il P.L.O. (Palestine Liberation Organization) proclamò la costituzione dello Stato della Palestina. Nel 2000, scoppiarono violenti scontri in Cisgiordania, e Israele dette inizio alla costruzione di un muro di separazione in Cisgiordania e Gerusalemme Est. La C.I.G. dichiarò, nel 2004, che il muro eretto dalla potenza occupante in territorio occupato era in violazione del diritto internazionale.
Il 10 maggio 2024, l’Assemblea Generale adotta la Ris. ES-10/23 costitutiva della condizione della Palestina di Membro qualificato dell’ONU (Art. 4, Statuto), e il 10 giugno 2024, con Ris. 2735 (2024), il Consiglio di Sicurezza ribadisce la determinazione a realizzare la soluzione dei due Stati, e l’incorporazione della Striscia di Gaza e la West Bank sotto la Palestinian Authority (PA). Sui punti sottoposti a suo parere, la Corte trovò, primo, l’esistenza di continue violazioni da parte di Israele del diritto del popolo palestinese alla auto-determinazione; secondo, che vi era prolungata occupazione israeliana, importazione illegale di coloni e illegittime annessioni di territorio palestinese conquistato dal 1967, incluse misure intese ad alterare la composizione demografica e il carattere e lo stato della Città Santa; e terzo, l’adozione da parte di Israele di legislazione e misure discriminatorie, contrarie allo Statuto[3] e agli usi e costumi di diritto internazionale.
La Corte stabilì che Israele ha importato coloni, confiscato terra, e requisito proprietà; sfruttato risorse, e introdotto la legge israeliana nei territori occupati della West Bank, di Gerusalemme Est e di Gaza: violazioni dell’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra (1949) (The Occupaying Power shall not deport or transfer parts if its own population into the territories it occupies). La Corte stabilì anche che le leggi e misure imposte da Israele erano intese a mantenere, nei territori occupati, pressoché completa separazione di coloni e palestinesi, in violazione dell’articolo 3 CERD. Sulla questione di auto-determinazione, la Corte stabilì che la prolungata applicazione di politiche israeliane illegali nei territori occupati (su un arco di decine di anni) violò questo diritto dei palestinesi. La Corte statuì che l’imposizione di sovranità israeliana, e l’annessione di parti del territorio, costituiscono violazione della proibizione di acquisizione di territorio con la forza, e che la violazione di questa proibizione ha impatto diretto sulla legalità della continua presenza di Israele come forza occupante nei territori occupati. Il vasto abuso di Israele, esercitato con annessioni e imposizione di controllo permanente sui territori occupati, rappresenta ostacolo continuato al diritto del popolo palestinese alla auto-determinazione e vìola principi[4] fondamentali di diritto internazionale.
In conclusione, la Corte stabilì che la continua presenza di Israele nei Territori Palestinesi Occupati (TPO) è illegale, in violazione di diritti legittimi, comporta responsabilità internazionale di carattere continuativo causato dal comportamento di Israele e dalla violazione della proibizione di acquisizione forzata di territorio, e dalla negazione del diritto di auto-determinazione del popolo palestinese. Di conseguenza, Israele è obbligato a porre termine il più rapidamente possibile alla sua presenza nei Territori Palestinesi Occupati. L’immigrazione di suoi coloni nelle terre occupate è illegale, e Israele deve immediatamente porre termine a tale pratica ed è obbligato a revocare le leggi e i regolamenti che permettono la situazione illegale, inclusi gli atti che si sostanziano in discriminazione contro i Palestinesi a ragione delle misure che hanno lo scopo di modificare la composizione demografica nei territori occupati. Israele è altresì obbligato a provvedere al pieno e completo risarcimento dei danni causati dalle sue azioni internazionali contrarie alla legge, incluse restituzioni, compensazioni e soddisfazione. Per evitare malintesi, la Corte spiegò che con il termine restituzioni essa intende l’obbligo di Israele di restituire la terra e altra proprietà immobiliare appropriata da Israele, sottratta sia da persone fisiche, sia giuridiche, dal tempo dell’occupazione nel 1967, e tutte le proprietà e i beni relativi alla cultura sottratti ai palestinesi (inclusi archivi e documenti). L’obbligo riguarda l’allontanamento di tutti i coloni da colonie esistenti, e la dissoluzione delle porzioni del muro costruito da Israele che si trovano entro il Territorio Palestinese Occupato, e a riconoscere ai palestinesi già allontanati dalle loro dimore durante l‘occupazione il diritto di ritornare alle loro originarie residenze. Se la restituzione fosse materialmente impossibile, Israele è obbligata a compensare, in base alle norme del diritto internazionale, tutte le persone naturali e giuridiche, e le popolazioni se del caso, colpite dagli atti illeciti israeliani, risarcire tutti i danni di qualsiasi genere sofferti dai palestinesi come conseguenza dell’occupazione d’Israele. La Corte sottolineò che gli obblighi internazionali derivanti dagli atti illeciti di Israele non liberano Israele dal dovere continuo di adempiere i suoi obblighi internazionali che, con la sua condotta, ha violato, e continua a violare (incluso, in particolare, l‘obbligo di rispettare il diritto dei palestinesi all’auto-determinazione e le norme di diritto umanitario internazionale). Per quanto riguarda la proibizione di acquisizione di territorio con la forza, la Corte enfatizzò che gli Stati Membri hanno l’obbligo di non riconoscere qualsiasi cambiamento nel carattere fisico o nella composizione demografica, come pure nella struttura istituzionale o lo stato del territorio occupato da Israele dopo il 5 giugno 1967 (inclusa Gerusalemme Est). La Corte determinò che in vista del carattere e dell’importanza dei diritti e doveri coinvolti, tutti gli Stati sono obbligati a non riconoscere la situazione risultante dalla illegale presenza di Israele nei Territori Palestinesi Occupati e di non rendere assistenza o aiuto per mantenere la situazione creata da Israele dalla sua illegale presenza nei TPO. È fatto obbligo a tutti gli Stati, nel rispetto dello Statuto dell’ONU e del diritto internazionale, di assicurare che ogni impedimento creato dalla illegale presenza di Israele nei TPO rispetto al diritto di auto-difesa del popolo palestinese venga rimosso. Anche tutte le parti legate all’osservanza della IV Convenzione di Ginevra hanno l’obbligo, nel rispetto dello Statuto ONU e del diritto internazionale, di assicurare l’adempimento da parte di Israele di leggi umanitarie internazionali incorporate nella Convenzione. L’obbligo di non riconoscimento si applica anche alle organizzazioni internazionali, incluse le Nazioni Unite. La Corte enfatizzò che le precise modalità per cessare l’illegale presenza di Israele nei TPO dovranno essere delineate dalla Assemblea e dal CdS, i quali dovranno determinare quali altri passi sono richiesti per realizzare in pieno la fine della illegale presenza israeliana nei territori palestinesi occupati, come ordinato dal parere consultivo. Infine, la Corte reiterò l’urgente necessità per le Nazioni Unite nella loro interezza di intensificare i propri sforzi per portare il conflitto Israele-palestinese – che continua a minacciare la pace internazionale e la sicurezza – a giusta conclusione e pace duratura. La Corte considerò che la realizzazione del diritto del popolo palestinese ad auto-determinazione, incluso il diritto a uno Stato indipendente, contribuirà alla pace e sicurezza di tutti gli Stati del Medio Oriente. La decisione sui nove punti in discussione venne ottenuta a larghe maggioranze, con la giudice ugandese Julia Sebutinde, VP, unica contraria ai palestinesi su tutti i punti, tranne il primo relativo alla giurisdizione. Il parere[5] è condivisibile, ed è accettato senza riserve dagli uomini giusti. Ma non tutti lo sono. Reagendo al recente parere della C.I.G., il PM israeliano disse, con aria di sfida al mondo, che il popolo ebraico non è conquistatore nella propria terra. Nessuna falsa decisione dell’Aja distorcerà questa verità storica, così come la legalità degli insediamenti in tutti i territori della nostra terra non può essere messa in discussione. Anche il Ministro degli esteri israeliano Israel Katz espresse opinione che il parere della C.I.G. è fondamentalmente distorto, unilaterale, sbagliato e illegale. Entrambi fecero appello a diritti storici del popolo ebraico in terra d’Israele, e accusarono la Corte di essere distante dal presente non tenendo conto delle minacce alla sicurezza che Israele sta sperimentando (in riferimento a Hamas, all’Iran e ad altri) o all’Olocausto. I politici israeliani affermarono che il Paese farà tutto ciò che è necessario per proteggere i suoi cittadini, in conformità con il diritto internazionale. Dovrebbero ritornare ai banchi di scuola e apprendere i rudimenti del diritto e delle relazioni internazionali. Ed evitare di fare simili figuracce. Negli usi e costumi del diritto internazionale, e nelle Convenzioni, non si trova norma in base alla quale antiche conquiste territoriali, che ebbero luogo migliaia di anni prima, darebbero luogo a pretese presenti. I Romani non pretendono che Gallia e altre terre da loro occupate per prolungati periodi di tempo in un lontano passato debbano essere riconosciute di proprietà dei loro legittimi successori, e se lo tentassero – usando la sciocca frase del PM israeliano – verrebbero derisi.
Questo Parere rimarrà privo di effetto, come altri prima[6]. Ad esempio, la C.I.G. si era pronunciata contro gli USA (1986) a risarcire i danni al Nicaragua per essersi intromessa negli affari politici di questo Paese causando danno all’economia del Nicaragua e rendendosi responsabile di pesanti azioni illegali, fra cui la posa di mine nei porti nicaraguegni. Quando il Nicaragua chiese l’adempimento della parte relativa ai danni riconosciuti dalla Corte, gli Stati Uniti, senza giustificazione in diritto o razionalizzazione logica, si opposero all’esecuzione forzata chiesta in Consiglio di sicurezza, e l’esecuzione della decisione venne bloccata. Gli USA ricorsero al mezzo più antidemocratico immaginabile: smentirono e disautorarono il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, interponendo il loro privilegiato veto politico. La parte vincitrice non riuscì a recuperare i danni riconosciuti – con tutto il mondo al suo fianco – perché uno Stato, gli USA (con il supporto irrilevante di Israele ed El Salvador), bloccò la procedura esecutiva. Fu una importante sentenza di diritto internazionale, ma non produsse effetto pratico, la decisione della Corte internazionale di giustizia ebbe, come altre in passato, valore meramente didattico. Gli Stati Uniti d’America, pur essendovi obbligati dallo Statuto della C.I.G. (articolo 59), non accettano le sentenze del massimo Tribunale mondiale quando sono loro i soccombenti[7].
Giova ricordare, in conclusione, a quanti volessero accusare la C.I.G. di antisemitismo, di leggere la discussione di antisemitismo fornita dalla autoritativa International Holocaust Remembrance Alliance[8]. Vi si legge: “IHRA explicitly states that criticism of Israel is not antisemitic”.
Walter Nicola Palmieri
avvocato
Note:
[1] La Corte Internazionale di Giustizia è il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, di cui tutti i Membri delle Nazioni Unite sono ipso facto considerati aderenti. (Artt. 92, 93), ciascun Membro delle Nazioni Unite si impegna a conformarsi alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia in ogni controversia di cui esso sia parte (Art. 94), e se una delle parti di una controversia non adempie agli obblighi che le incombono per effetto di una sentenza resa dalla corte, l’altra parte può ricorrere al Consiglio di sicurezza, il quale ha facoltà, ove lo ritenga necessario, di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere affinché il provvedimento giudiziario abbia esecuzione (Art. 94 (2)). Le decisioni del Consiglio di sicurezza sono prese con voto favorevole di nove Membri, compresi i voti dei Membri permanenti (USA, Russia, GB, Francia, Cina).
[2] Il Wall Street Journal pubblicò un articolo di Burton Yale Pines, vicepresidente della Heritage Foundation, nel quale (Pines) criticò la C.I.G. chiamandola inutile istituzione alla quale difficilmente le nazioni si rivolgono per risolvere le loro dispute. Se le decisioni della C.I.G. non piacciono a uno dei cinque, basta il voto contrario di uno di loro per fare crollare il castello di carte.
[3] La Corte affrontò anche le violazioni di Israele degli obblighi di diritto umanitario: in particolare la Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination of December 21, 1965 (CERD), l‘International Convenant on Economic, Social and Cultural Rights of December 16, 1966 (ICESCR), e l’International Covenant on Civil and Political Rights of December 18, 1966 (ICCPR).
[4] Israele ha imposto le sue politiche e pratiche, disse la Corte, per frammentare e frustrare l’abilità del popolo palestinese a esercitare il diritto alla auto-determinazione, e l’estensione di sovranità israeliana sui territori occupati viola il diritto internazionale. È, comunque, il controllo effettivo su un territorio, indipendentemente dal suo stato in diritto internazionale, che determina la base di responsabilità di uno Stato rispetto ai cittadini del territorio occupato.
[5] Il Parere conferma che in diritto internazionale, il comportamento di Israele nei TPO è in eclatante violazione delle norme valide e riconosciute dagli usi e costumi e delle Convenzioni internazionali. Israele – come ha sempre fatto dal giorno della sua costituzione come Stato in Terra palestinese – se la ride del diritto internazionale. Non che sia particolarmente potente, ma finora ha sempre avuto alle spalle la forte lobby ebraica americana che le ha reso possibile ogni abuso.
[6] Per situazioni del genere, i tedeschi hanno una colorita espressione, finirà come la sparatoria a salve di Hornberg (il Hornberger Schießen). Il Duca del Württemberg era atteso a Hornberg in visita, e gli abitanti eccitati lo salutarono a salve su falso allarme per ben due volte. Quando il Duca giunse veramente, gli Hornberghesi si ritrovarono senza polvere, e accolsero senza salve l’ospite eccellente. La sentenza della C.I.G. finirà come la sparatoria di Hornberg, come finì in danno e beffe lo scandalo del parere consultivo della C.I.G. su Nicaragua v. USA.
[7] Dopo il veto (28 ottobre 1986) contro la risoluzione che il Consiglio di sicurezza intendeva emettere per imporre piena e immediata osservanza alla decisione, gli Stati Uniti ne interposero altri con i quali naturalmente prevalsero. Disperato (e illuso), il Nicaragua si rivolse all’Assemblea Generale, priva di poteri esecutivi, che passò inservibili risoluzioni che domandavano obbedienza alla sentenza della C.I.G. Una prima risoluzione con 94 voti in favore e 3 contrari (USA Israele, El Salvador), e una l’anno successivo, imposero a vuoto soddisfazione del giudicato (solo Israele si associò al voto contrario degli USA). Finalmente, ci fu una breve parentesi di sconfitta dei sandinisti di Daniel Ortega, e il braccio di ferro con gli USA finì con la rinuncia alla causa da parte della Signora Violeta Chamorro, nuova presidente nicaraguegna, amica degli Stati Uniti, contraria ai sandinisti, che venne eletta grazie al sostegno finanziario degli Stati Uniti. Rimase in carica il tempo necessario per rinunciare alla causa. L’esecuzione forzata della sentenza contro gli Stati Uniti venne sospesa, poi interrotta, il 26 settembre 1991. I contras vennero infine disarmati. Gli USA non pagarono il risarcimento al quale erano stati condannati. Il prestarsi a negare alla parte vittoriosa l’esecuzione forzata dopo avere omesso di intervenire per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, fu l’estrema beffa riservata al Nicaragua da parte di un Consiglio di sicurezza inutile, ennesima dimostrazione di impotenza dell’unico organo mondiale preposto ad assicurare pace e sicurezza, anche con l’impiego della forza.
[8] https://holocaustremembrance.com/resources/la-definizione-di-antisemitismo-dellalleanza-internazionale-per-la-memoria-dellolocausto