L’ultima difesa contro l’oblio
Gli anni Sessanta erano gli anni in cui la corsa agli armamenti delle superpotenze mondiali, non si limitavano più alle terrificanti bombe “atomiche” apparentemente mandate in soffitta, a favore di quelle cosiddette “termonucleari”, in grado di distruggere il mondo intero. O così almeno si diceva. Ieri come oggi[1], davanti al mio impianto stereofonico che allora faceva girare un grande disco di vinile, pensai, con la stessa angoscia che ci prende ora ad ogni nuova guerra: “E se l’umanità finisse di esistere, così come tutto finisce, chi più suonerà la “Jupiter”? Chi ascolterà Mozart? A che sarà servito tutta questa immensa capacità creativa, l’arte sopraffina dei liutai, degli Stradivari, dei Guarnieri del Gesù, lo studio di generazione di musicisti, l’opera di compositori di armonie sublimi, e l’ “Adagio” dell’ “Inverno” di Vivaldi e il “Concerto per archi ed oboe” di Benedetto Marcello e ” Les Preludes” di Franz Listz e la “Sonata a Kreutzer” di Beethoven e le opere verdiane e poi ancora e ancora, secoli e secoli di musica, di canto e di arte d’ogni genere? Sarà il nulla. Silenzio. Buio. Oblio. Eppure, oggi mi è bastato riascoltare, dopo decenni, la “Jupiter”, per accorgermi gradevolmente che la ricordavo tutta, quasi nota per nota. Tutto nella memoria di uno che non sa suonare altro che il campanello della porta, ma che ha ascoltato molte più sinfonie, concerti, sonate, poemi sinfonici, fughe e quartetti che canzonette. Mi porterò tutto con me dall’altra parte dopo che sarà caduto “il muro d’ombra” di cui parla Ungaretti? Sarebbe una consolazione, se così fosse: almeno affronterei il viaggio ben equipaggiato. Potrei canticchiare mentalmente, come tuttora faccio, arie d’opera o recitare versi danteschi della Divina Commedia rimasti impigliati nella memoria per la loro “contagiosa” e spesso struggente bellezza: “Ben se’ crudel se tu già non ti duoli pensando ciò che ‘l mio cor s’annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli?“. A scuola ci facevano studiare a memoria poesie o brani manzoniani: “Addio monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi…“- E poi “Ognuno sta sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole…”
In ogni caso per ora posso solo giudicare ciò che è utile ai vivi. O per lo meno a me. Quindi dico: non è stato inutile “imparare a ricordare”, o, sempre tornando al padre Dante: “Non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso“. Se non si fosse capito, è l’oblio che m’angoscia. E tornando al nostro tempo, e ai nostri problemi d’oggi, in tema d’oblio vorrei citare Indro Montanelli quando accusava gli italiani di essere un popolo senza memoria, pur avendo alle spalle una storia millenaria e un grande passato, ricco di scienza e d’arte d’ogni genere. Ma oggi pare che un italiano su due non sappia nemmeno più che significhi esserlo. Non ci consola sapere che è un problema diffuso anche oltre le nostre frontiere. Non solo in Italia, si dice, ma a livello planetario la vita e i costumi cambiano e una nuova forma d’oblio incombe sull’umanità intera.
Ci vorrebbe un “Miracolo”, come già ha scritto Magdi Cristiano Allam nel suo libro “Un miracolo per l’Italia“. Ed è quanto mai opportuno che si cominci da casa nostra e, ciascuno di noi, da sé stesso, a porre le premesse per un esame di coscienza e per un cambio di rotta. Combattendo quest’ultima determinante battaglia contro l’oblio. Perché questa mia riflessione, che attinge a reminiscenze di un percorso di vita, di emozioni, di apprendimenti e convinzioni maturate, ha trovato nel libro di Magdi un ulteriore motivo per contrastare, anche in extremis, l’oblio di sé stessi. Perché gli uomini e la loro civiltà vivono se ne è viva e operante la memoria. Ma oggi del presente stesso si perde il senso e la consapevolezza, nell’incalzare di eventi, fatti, stimoli e suggestioni che si sostituiscono continuamente e reciprocamente si cancellano. E così si perdono le radici e l’eredità di valori che ne sono la parte più preziosa. Per me l’Ultimo Giorno è quello dell’oblio, quando l’ultimo uomo sarà scomparso. Recuperiamo la memoria. La vita è il contrario dell’oblio. Memoria e coscienza di quel che siamo potranno, spero, darci la misura di quello che potremo essere. Non sappiamo se e che cosa ci potrà servire “dopo”. Qui ed ora è l’oblio il nemico da battere. La vita è nella memoria viva, vissuta e rinnovata operosamente giorno per giorno.
Vittorio Zedda
dirigente scolastico a riposo
https://www.facebook.com/vittorio.zedda
[1] Per poter dare a questa riflessione sull’oblio una esposizione in qualche misura ordinata e leggibile ho dovuto, prima di iniziare, riascoltare la sinfonia n°41 in do maggiore, K551, di Wolfgang Amadeus Mozart, quella che ricordiamo come la “Jupiter” di Mozart. Non si è trattato di una stramberia cervellotica, qui raccontata per dar lustro ad un discorso, forse nemmeno originale. Si è trattato solo della necessità di ritrovare nella sinfonia citata un passaggio legato ad una emozione indimenticabile, provata tanti anni fa, che m’indusse però anche ad una riflessione angosciosa e, al contempo, per me in quel momento inevitabile. Non avevo altro modo per verificarne efficacemente il ricordo, se non cercando un disco fra i tanti della mia raccolta. Mi è bastato seguire i primi due “movimenti” della sinfonia per arrivare a riascoltare, e rivivere, alla fine del secondo, l’ “Andante cantabile”, quello splendido e trionfante tema finale affidato all’intera orchestra, dopo una serie reiterata di fraseggi musicali che preludono al maestoso finale. Fraseggi affidati prevalentemente agli archi e agli strumenti a fiato che creano una atmosfera sospesa e carica di tensione in cui il finale ampio e corale dilaga e avvolge l’anima di chi ascolta. Sublime, estatico. Avevo all’incirca 27 anni, quando provai quell’emozione per la prima volta. E che rinnovai ascoltando nel tempo tante altre opere musicali.