L’alluvione e la politica distratta

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In TV, una nota giornalista, parlando dell’alluvione in Romagna, nel tentativo di tenere al riparo i responsabili politici della Regione, mischia ‘ambiente’ con ‘ambientalismo’, come se fossero la stessa cosa. Evita di parlare di lavori non fatti per la prevenzione dei disastri ambientali e di soldi non spesi lasciati nel cassetto, riapre la caccia al “negazionista” del cambiamento climatico. Approccio ideologico. Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti e nessuno può negarlo. Il clima, da sempre, ha andamenti grosso modo ciclici anche se irregolari. L’uomo interviene sull’ambiente e il confronto tra scienziati concerne l’entità ponderale dell’intervento umano in grado di influire sui cambiamenti climatici, e in quale misura. Ci sono pareri differenti. Si bollano però come “negazionisti”, coloro che hanno convinzioni difformi dalla presunta “verità ufficiale” sposata dalla politica. Le origini del fenomeno “climatico” e l’imprevedibilità di conseguenze estreme sconsiglia un “determinismo” rigido fra cause ed eventi. Alluvioni di inaspettata gravità potevano e possono comunque essere ridimensionate o contrastate all’origine, anche con una periodica pulizia dei letti fluviali, delle sponde e delle aree destinate all’espansione delle piene.

Non tutti sanno che un fenomeno tipicamente padano è quello dei “fiumi pensili“.

I corsi d’acqua padani, ed il Po fra tutti, trasportano da monte a valle notevole quantità di terriccio, sabbia e sassi. La velocità dell’acqua in montagna rallenta in pianura, depositandovi residui e materiali d’ogni tipo. Questi depositi alzano il letto del fiume che, in caso di piena, facilmente esonda. Il rimedio tradizionale e collaudato sta nella costruzione degli argini. Però il fiume continua ad alzare il proprio letto e quindi occorre ulteriormente alzare gli argini. Col tempo il fiume scorre su un letto che raggiunge un livello altimetrico superiore a quello della pianura circostante. E’, appunto, il fenomeno del “fiume pensile”.

In caso di piena, può succedere di tutto: dalla esondazione per tracimazione, alla rottura degli argini, alla formazione dei cosiddetti “fontanazzi” (ma il nome può cambiare secondo le zone) determinati dall’infiltrazione sotterranea delle acque fluviali che possono sgorgare, come una sorgente, a distanza dal fiume nei campi circostanti, in conseguenza della pressione dell’acqua, del dislivello altimetrico e di altre cause. Sono cose che si imparano vivendo nelle zone interessate. Pare strano che i fenomeni legati all’idrografia padana, pur noti, possano essere stati trascurati per incuria. Un’esperienza particolare è stata quella dell’Arno a Firenze, novembre 1966. La notte dell’alluvione ero in città, sotto un diluvio infernale e rimasi bloccato per tre giorni, prima di poter tornare a Milano. La storia delle alluvioni dell’Arno è lunga: sulle facciate dei palazzi comparirono le targhette che indicavano il livello raggiunto dall’acqua il 4 novembre 1966: in alcuni punti fino a m.4,45. Vicino a Santa Croce, a 3 metri e mezzo dal suolo, una targhetta dice: ” A dì 13 settembre 1557 arrivò l’acqua d’Arno a quest’altezza”. Altrove è citata un’alluvione del 3 novemre1844. E così, girando per la città, scopro che nel 1333, nel 1544, nel 1579 Firenze fini sotto metri d’acqua. Cerco notizie sui libri di storia della città. Secondo le cronache dall’anno 1177 in poi le alluvioni a Firenze furono 56, di cui 33 gravi.”

Le alluvioni del Po sono memorabili: nel 1951 avevo 11 anni e vivevo a Parma, con la provincia in parte sommersa. Le alluvioni del grande fiume pare siano documentate a partire dal 204 a.C. Le inondazioni più note decorrono dall’anno 1000 in poi. Fino ad oggi se ne contano circa 110. Le più rovinose sono datate 1085, 1240, 1294, 1331, 1474, 1595-96, 1609,1647, 1705, 1830 e 1951. Quella del 1331 provocò oltre 100.000 morti. Di certo la storia ci suggerisce qualcosa.

Le piogge eccezionali in Romagna i danni più gravi li hanno provocati nelle zone montane. Ma in Tv e più facile mostrare quel che succede in pianura. Raggiungere le zone devastate in montagna è cosa ardua e nei piccoli comuni isolati dalle frane la gente è disperata. Oltre al clima, un altro problema è l’informazione, che ha la sua importanza e i suoi effetti in rapporto ai temi trattati, ma è un altro tema. Nella storia dei cambiamenti climatici storicamente accertati c’è quella dei monti valdostani:  di antichi itinerari tracciati in epoca medioevale dai mercanti che facevano la spola, a piedi, fra il versante italiano e quello svizzero, portando a spalla le loro mercanzie. Salivano fino a valichi prossimi talvolta ai 3000 metri di quota. Organizzati in una sorta di corporazione solidale, avevano attrezzato il loro percorso con costruzioni di pietra, per ripararsi e pernottare. Simboli di quella corporazione dipinti sulle case dei paesi attraversati dai mercanti segnano il percorso e testimoniano un’antica storia. Il secolare via-vai di questi mercanti si interruppe per sempre verso la fine del 1500. Un deciso cambiamento climatico aveva determinato in corrispondenza della fine del secolo e l’inizio del nuovo, l’accumulo di metri di neve e ghiaccio, alle quote più alte, sugli antichi sentieri, rendendoli impraticabili. Anche allora si diede la colpa agli uomini o piuttosto ad alcune donne, quelle che, accusate di stregoneria “climatica”, finirono innocenti sul rogo. I testi di storia del clima riferiscono di un precedente “periodo caldo medioevale” che si era già esaurito nel 1300. Il raffreddamento climatico della fine del 1500, sopra citato, è denominato “Piccola Glaciazione” o “Piccola Era Glaciale”. Ma il clima cambiò ancora. Dopo il 1850 iniziò un processo climatico inverso, con una ripresa del rialzo termico e quindi con una progressiva riduzione dei ghiacciai alpini che dura tuttora, ininterrottamente.  La fase attuale del fenomeno viene però attribuita all'”effetto serra” e al “riscaldamento globale”, fattori ascritti a responsabilità umane, attuali, improbabili nel 1800.

Questi sono dati e notizie, la storia del clima può esserci d’aiuto nell’inquadrare la questione. La responsabilità degli uomini, d’ora in poi, sarà più vincolata alle cose che concretamente, e non utopisticamente, si dovranno fare per contrastare cause ed effetti, noti e prevedibili, dei cataclismi ricorrenti di cui si è fatta, ormai, vasta e dolorosa esperienza. In prospettiva si dovranno predisporre piani previsionali, comportamenti virtuosi, mezzi e strumenti per fronteggiare la portata distruttiva di futuri eventi avversi, sempre possibili, come la mutevole storia del clima c’insegna.

Vittorio Zedda

 

N.d.R.: Si ringrazia l’Autore che, con molto garbo, non ha trattato il fatto che i vertici della Regione hanno passato l’ultimo anno a fare campagna elettorale per il loro partito.

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2 commenti su “L’alluvione e la politica distratta”

  1. a questo punto constatata l’inettitudine dei vertici della Regione e auspicabile che non sia dato loro il mandato di amministrare i fondi per la ricostruzione

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