Il Ricordo dei crimini comunisti. Ultimo sfregio a Basovizza

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Puntuali come un orologio svizzero, ogni anno, in prossimità del Giorno del Ricordo, riemergono i negazionisti, i riduzionisti e giustificazionisti sul tema delle foibe. A questi spesso si associano azioni vandaliche con scritte e danneggiamenti alle vie, ai monumenti intitolati ai martiri delle foibe. Al momento delle dediche o apposizioni di targhe in ricordo di Norma Cossetto arrivano tempestive le dissociazioni e distinguo di un’importante associazione, vedi il recente caso a Cividale del Friuli, operazioni senza senso e soprattutto di mancanza di rispetto, vista la tragica e orribile fine che fece la giovane studentessa per mano dei partigiani comunisti al soldo di Tito. L’oltraggio al Monumento nazionale di Basovizza di oggi (sotto nelle foto RAI) è l’ennesimo episodio, e forse non sarà l’ultimo ma, i responsabili sono una sparuta minoranza che combatte un’anacronistica battaglia ideologica, superata peraltro dalla storia dopo il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione della Jugoslavia. Gli autori di questi atti ricordano Hiroo Onoda, il soldato giapponese che, nella giungla filippina, per quasi trent’anni dalla fine del Secondo conflitto mondiale, proseguiva nella sua guerra.

Il Giorno del Ricordo istituito con la legge 92 del 2004, una norma approvata a larghissima maggioranza dal parlamento italiano, ha finalmente, e inequivocabilmente, dato dignità storica agli esuli, agli infoibati e ai loro congiunti, pertanto ogni tentativo di addomesticare la storia obliando quanto avvenne sul Confine Orientale durante e dopo il conflitto, risulta inutile, perché il tema dell’esodo e la tragica vicenda foibe è ormai entrato nei libri di storia, nelle scuole, nei convegni, nelle commemorazioni che vengono annualmente promosse in tantissimi comuni italiani, anche se le scritte oltraggiose a Basovizza, come la scritta TITO ancora presente in bella vista sulla collina di Nova Gorica, proprio quando si celebra Gorizia – Nova Gorica capitali europee della cultura 2025, lasciano ancora un po’ di amaro in bocca. Questi fatti c’insegnano quindi che c’è ancora del lavoro da fare. Va detto che, a discapito dei negazionisti nostrani, nostalgici di un’ideologia e di un regime che non c’è più, specialmente in Slovenia, dove hanno mappato centinaia di foibe, c’è un serio processo di revisione storica rispetto all’epopea titina. In tal senso appaiono emblematiche le parole dell’ex premier sloveno Janez Janša: «Altro che massacro di Srebrenica, la più grande strage dopo la Seconda Guerra mondiale nell’ex Jugoslavia è stata quella attuata da Tito contro i suoi oppositori e che è costata la vita a oltre 500 mila persone». Questo ci ricorda che quella di Josip Broz Tito fu una brutale dittatura, che massacrò non solo gli italiani che dovevano essere eliminati e cacciati dall’Istria e Dalmazia dopo una presenza millenaria, ma anche chi si opponeva al suo disegno politico. Una risposta, a chi vuol mistificare la storia e far passare nel dimenticatoio le tragedie del Confine Orientale, l’ha data un organismo non sospetto, la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Slovena (CES) dopo il ritrovamento della fossa comune nella caverna di Huda Jama (foto):

«Vedere le vittime – uccise dopo la II guerra mondiale – nella fossa comune della caverna di Huda Jama presso Laško sconvolge profondamente ogni persona, perché non è possibile ignorare la sofferenza atroce delle vittime e la violenza barbarica degli omicidi […] Le supreme istituzioni nazionali, specialmente quelle che hanno il dovere di diffondere i valori etici, la giustizia, la convivenza pacifica e il pieno rispetto dei diritti umani, dovrebbero esprimere una condanna chiara e inequivocabile a livello morale e politico di questi massacri, nonché dei singoli ovvero dei gruppi che ne sono stati responsabili. È necessario confrontarsi con gli avvenimenti più trascurati della storia del totalitarismo in Slovenia, se vogliamo diventare e restare una società civilizzata ed etica. È arrivato il momento in cui tutti i cittadini a livello personale, di popolo e di nazione dovrebbero affermare molto chiaramente i principi morali fondamentali sull’intangibilità di ogni vita umana e sulla dignità di ogni persona, crudelmente rinnegate durante e dopo la rivoluzione. L’ideologia non può diventare giustificazione di alcun massacro […].»

La risposta definitiva a questi “irriducibili nostalgici” l’hanno data i presidenti della Repubblica Italiana e di Slovenia, Mattarella e Pahor, nel luglio 2020 dove, mano nella mano, con un gesto di alto valore storico e politico, hanno portato un’importante riconoscimento alle vittime della barbarie titina, proprio davanti al monumento che alcuni incivili oggi hanno voluto profanare.

Mauro Tonino

scrittore e saggista

(foto del Messaggero Veneto)

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