Il peso del Referendum del ’46

| | ,

Il Referendum istituzionale del giugno ’46, tra monarchia e repubblica, è stato il primo momento in cui le donne e gli uomini italiani, per la prima volta, hanno votato insieme. Domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946 si recarono alle urne convinti di contare con il proprio voto. Nei giorni successivi il conteggio è stato laborioso, sia per le difficoltà del momento, che per le pressioni politiche interne che internazionali (gli USA erano per la repubblica). Il procedimento elettorale si è poi  concluso definitivamente il 18 giugno ’46, alle ore 18, con l’ultima riunione della commissione costituita dalla Cassazione, presieduta da Giuseppe Pagano. L’Istituto fondato da Giorgio Galli – ISPG –  ha organizzato un convegno su questo evento storico che si è svolto proprio il 18 giugno, per il 75° anniversario (la registrazione è qui). Il presidente Pagano, un magistrato di alto livello morale, figlio di magistrato a sua volta presidente della Cassazione ai primi del novecento,  si è trovato a svolgere un ruolo chiave in un momento di grande tensione politica. Si può facilmente immaginare il suo stato d’animo, per le inaudite pressioni e il clima da guerra fredda e calda che probabilmente c’era intorno a lui. I comunisti con il Ministro della giustizia Togliatti spingevano per la repubblica, i socialisti e gli ex repubblichini del nord anche, i democristiani erano su ogni posizione, politicamente onnicomprensivi. La monarchia in quel momento aveva il volto rassicurante di Umberto II. I monarchici dai dati raccolti sono convinti che la monarchia sia in vantaggio. Nella notte tra il 4 e 5 giugno accadde di tutto, con il ribaltamento dei risultati elettorali a favore della repubblica, comunicato a mezzo stampa. Il re Umberto si avvede della manovra e cerca di mettere in salvo la famiglia inviandola in Portogallo. La tensione è altissima. Il 10 giugno si riunisce ufficialmente per la prima volta la Commissione elettorale presieduta da Pagano a Montecitorio per la proclamazione dei risultati del referendum. Le macchinette in dotazione calcolano le somme dei dati pervenuti dai verbali, che risultano essere:

  • 12,672 milioni alla repubblica
  • 10,688 milioni alla monarchia.

Sono dati incompleti e provvisori;  visti i numerosi ricorsi presentati e i dati mancanti, rimanda a una successiva riunione la decisione finale. Nel titolo della riunione rimane la parola “proclamazione dei risultati”, che non si è verificata per la precarietà della situazione. Il giorno dopo la CGIL attua uno sciopero generale e occupa le piazze a sostegno della repubblica. Il Governo si riunisce, con un colpo di mano il 12 giugno, nomina di De Gasperi capo provvisorio della Stato. L’Italia si ritrova così ad avere una convivenza insolita tra due capi: Umberto II e De Gasperi, un “re” e un “presidente”.

La partenza per l’esilio di Umberto del 13 giugno evita un confronto che avrebbe potuto essere drammatico. Rimane campo libero allo schieramento repubblicano che attende il verdetto definitivo della Cassazione previsto e imposto dalla legge per il 18 giugno. La riunione si svolge regolarmente a Montecitorio, con la presenza tra il pubblico del governo al completo. A questo punto è fondamentale capire  il senso delle cose accadute in quel momento e nei giorni a seguire, anzi tutto che cosa è stato “deciso”. Qui a fianco è riportato il verbale del 10 e quello del 18, firmati in originale su dei fogli a quadretti dal presidente Giuseppe Pagano, poi pubblicati nella prima Gazzetta ufficiale della Repubblica, uscita il 20 giugno ’46. La commissione poteva proclamare ma non aveva i poteri per convalidare i risultati elettorali del referendum. Invece, nel dubbio, ha solo dato conto di quello che aveva cercato di fare in una situazione molto critica, con verbali incompleti e dati provvisori. La Gazzetta a pag. 1452 del ’46 così riporta: “…da atto che i voti complessivi per la Repubblica sono…”

L’espressione “da atto” era già stata usata nella prima riunione, ripetuta in questo contesto, vuol dire semplicemente che la commissione “declama” una cifra a favore della Repubblica (gli effetti giuridici sono da valutare con molta attenzione). Il referendum è gestito con le regole definite dal governo con il Decreto Lg.lte n. 219/46 dell’aprile ’46. Il governo ha impostato un cronoprogramma stringente. In pratica la Cassazione si ritrova con tempi contingentati – 15 giorni per chiudere tutto in quelle condizioni – senza poteri effettivi di azione. Intanto, tutte le decisioni politiche si erano già svolte con grande celerità con i dati provvisori. Rimane solo da capire chi si assumerà l’incarico di proclamare ufficialmente la Repubblica visto che il presidente Pagano ha dato solo atto della maggioranza dei voti. Il verbale è redatto in triplice copia e inviato al ministro di Giustizia e alla segreteria dell’Assemblea Costituente che si riunisce il 25 giugno per la prima volta.

In quel momento l’Assemblea è l’unico organo dotato di investitura popolare, titolato ad esercitare la sovranità popolare. La prima seduta si occupa solo di questioni di bottega: elezione della presidenza, dei segretari ecc.. Il giorno successivo, finalmente, il presidente Saragat da atto che la Cassazione ha inviato il verbale con il risultato del voto a favore della Repubblica. L’Assemblea a sua volta ” da atto alla Corte di Cassazione” del verbale affermando che “consacra la forma di Governo repubblicana prescelta dal popolo italiano...”.

Affermazione alquanto discutibile, visto che in gioco c’era la forma istituzionale dello Stato e non quella di governo. Anche il termine “prescelta dal popolo”  suona male. In pochi minuti la faccenda del Referendum e del suo risultato è stata archiviata con un applauso a scena aperta dei deputati. Un modo non adeguato all’importanza della decisione. Al di là dei presunti brogli nei conteggi dei voti, questo aspetto appare essere di grande importanza: l’incapacità dell’Assemblea costituente di assumersi la responsabilità politica della proclamazione e della convalida dei risultati elettorali a favore della Repubblica. 

Daniele V. Comero

Precedente

Il caso Saman: una speranza negata e una vita spezzata

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro

Successivo

Lascia un commento