Il “metodo” Garibaldi: CON-VINCERE più che VINCERE

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Il primo incontro con Luciano Garibaldi fu la presentazione che curai nel Cuneese del suo insuperato libro su Sogno. Seguirono altri contatti anche in dialogo con un altro eterodosso, Franco Bandini, come lui arrivato alla storiografia dal giornalismo d’inchiesta. Malgrado le differenze di formazione e altri motivi di distanze la collaborazione divenne intensa e costruttiva, sino al varo del mensile “Storia in Rete”, che tra il 2005 e il maggio 2023 pubblicò 198 fascicoli (mancò per poco l’agognato numero 200, che avrebbe ottenuto l’onore delle armi dopo anni di critiche pregiudiziali, scagliate da chi accusava di “revisionismo”: il ben noto termine usato dagli stalinisti per preparare il patibolo ai loro avversari).

Del comitato scientifico da me presieduto fecero parte Aldo G. Ricci, all’epoca sovrintendente dell’Archivio Centrale dello Stato, autore di “Elogio della Storia, L’Italia nella guerra civile europea,1914-1953” (ed. Oaks, settembre 2024), Nico Perrone e Giuseppe Parlato: un ventaglio di esperienze e tendenze fatto apposta per scongiurare ogni forma di rigidità.

L’autore più assiduo nella Rivista fu proprio Luciano Garibaldi, che assunse il non facile compito di dialogare con i lettori nella rubrica “Lettere & e-mail”, mai meno di quattro-sei fittissime pagine di risposte in forma di dibattito, talvolta con delle polemiche. Però, lo contraddistingueva la signorile pacatezza, l’ampio arioso periodare, il costante riferimento a opere dimenticate dai più, citate con precisione certosina, e il richiamo esatto ai “fatti”: date, uomini e luoghi descritti con cognizione di causa. Nel confronto non mirava a vincere ma a con-vincere, a condurre l’interlocutore a con-dividere le informazioni dalle quali può essere tratta la valutazione degli accadimenti, solitamente lasciata all’intelligenza del lettore.

Sono d’esempio le centinaia di risposte sul “Risorgimento scomunicato” e la serena rivendicazione dei conservatori cattolici, la cui storia fece conoscere anche per far meglio comprendere eventi contemporanei, da lui narrati a quattro mani con Paolo Deotto, altro studioso non rassegnato a scrivere sotto dettatura. Tra i tanti esempi del suo “metodo” si rilegga l’ampia riflessione “Sono stati cinque i golpe tentati (e falliti) in Italia” (“Storia in Rete”, n.197, marzo-aprile 2023, pp.76-77, in risposta a una lettera di Gianangelo Bianchi). Ricordò quelli di sinistra (li stava indagando Giuseppe Pardini e Ricci se ne era occupato per anni) e quelli di destra. Rievocò con parole appassionate Edgardo Sogno, Medaglia d’Oro al Valor Militare, pronto a impugnare le armi, come una ventina di ufficiali, ex partigiani “bianchi”, cioè monarchici, per fermare la deriva di golpe comunista: “Sapere, o comunque temere, che esistevano forze di destra non necessariamente fasciste pronte a contrastare con le armi eccessive e soprattutto illegali spinte in avanti della sinistra, certamente contribuì a mantenere in Italia un clima accettabilmente democratico”.

Nei diciotto mesi seguenti l’ombra del “golpe” ha continuato a serpeggiare, inquinando la vita politica quotidiana. Lo pensava anche Giorgio Galli, di cui Luciano, vicepresidente vicario della Consulta dei senatori del regno, fu grande estimatore, pienamente ricambiato.

 

Aldo A. Mola

Storico

 

 

 

 


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