Tempo di guai…
“Mala tempora currunt?” Forse sì. Ma non sono peggiori di quelli passati. Se si volge lo sguardo all’indietro, non si vede alcun secolo di pace e tolleranza, né di fratellanza tra i popoli e fra le persone. Qual più, qual meno, furono tutti caratterizzati da guerre, distruzioni e massacri. Frustrati dinnanzi al presente[1], nuovamente costellato di carneficine, complete di crudeli sevizie e totale disprezzo della vita umana, e angosciati dall’incubo dell’impiego bellico di ordigni nucleari, sia pure solo “tattici”, dalle cui atroci conseguenze la stragrande maggioranza degli abitanti della terra non potrebbe sfuggire, molti rimpiangono un generico “bel tempo andato”.
…e di piccoli scismi
Uno dei “casi del giorno” è la convocazione in Vaticano di monsignor Carlo Maria Viganò, già Nunzio apostolico della Santa Sede negli Stati Uniti, accusato di scisma (suoi seguaci hanno allestito in suo nome un eremo presso Palanzana, Viterbo), chiamato a Roma per rispondere dell’addebito, non si è presentato. Verrà processato in contumacia? A differenza di quanto asserito dal presule, la sua condanna non è “già pronta”. Fare la vittima generalmente premia perché i più, corrivi a infischiarsi delle leggi, hanno quasi sempre motivo di temere la Giustizia e solidarizzano con i “perseguitati”, veri o presunti. Ma, come ha precisato il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, proprio l’avvio del processo extragiudiziale offre al pugnace monsignore (che ha per motto l’imperativo “Exsurge Domine”) la possibilità di difendersi dalle contestazioni. Al momento, però, nulla lascia prevedere che accetti il confronto. Egli ha anzi ribadito le accuse contro papa Francesco (da lui appellato sbrigativamente “Bergoglio”), il collegio cardinalizio che l’ha eletto, a suo dire prono alla “Mafia di San Gallo”, e contro il Concilio ecumenico Vaticano II, «cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana “chiesa sinodale” è necessaria metastasi»: parole non proprio amichevoli[2]. Come replicherà la giustizia d’Oltre Tevere al loquace monsignore? Joseph Kennedy, segretario della sezione disciplinare vaticana, si è mosso a conclusione di una lunga indagine. Che cosa farà papa Francesco, al secolo Jorge Maria Bergoglio, argentino di nazionalità ma di ascendenza piemontese, Capo di Stato della Città del Vaticano che, a parte quelli Supremi, ultraterreni, assomma in sé tutti i poteri di sovrano temporale?
Paolo V, il Precursore
Il Piemonte è, come noto, terra di militari, diplomatici, amministratori, navigatori (pochi) e anche di santi. Soprattutto di quelli “sociali”, tra i molti bastino gli esempi dati da Giuseppe Cottolengo, originario di Bra, e da Giovanni Bosco: preti “di provincia” che vennero aiutati senza ostentazione nella loro missione dai re e dai loro ministri, anche poco devoti, come l’alessandrino Urbano Rattazzi. Papa Francesco sicuramente conosce bene quei suoi indiretti “antenati spirituali”. Sa che prima di lui in duemila anni la Chiesa ha avuto un unico papa “piemontese”: Antonio Maria Ghislieri, “humili genere natus” il 17 gennaio 1504 a Bosco Marengo, attualmente in provincia di Alessandria, all’epoca un villaggio incluso nella diocesi di Tortona appartenente al Ducato di Milano, ancora dominato da uno Sforza, ma di lì a poco direttamente incorporato nell’impero di Carlo V d’Asburgo e affidato a un viceré. Eletto 225° papa il 7 gennaio 1566, Ghislieri scelse per nome “Pio V”: una scelta motivata e coraggiosa. Quale carico prese sulle spalle all’elezione? Il Cinquecento va ricordato a quanti ritengono che oggi la Chiesa navighi in acque tempestose, il Papato pareva destinato alla catastrofe. Per non naufragare e sparire nei gorghi della Storia profana, in circostanze drammatiche ricorse a misure al cui confronto la citazione in giudizio di Carlo Maria Viganò è un buffetto sulla guancia. Il secolo iniziò con la conquista delle Indie Nuove a occidente e con l’istituzione di collegamenti stabili tra l’Europa e l’Estremo Oriente[3]. Nel Cinquecento stabilire che tutte le persone “perbene” avevano diritto alla Luce Eterna non era una disputa sul sesso degli angeli (all’epoca accesissima) ma sulla sorte ultraterrena di ogni persona. Solo dopo decenni di dispute, teologi di valore, come il domenicano Bartolomeo de Las Casas (Siviglia, 1474-Madrid, 1566), “apostolo delle Indie”, ottennero fosse riconosciuto che, pur essendo del tutto incivili o dediti a pratiche ripugnanti come i sacrifici umani presso gli Aztechi, anche gli ingenui extraeuropei avevano l’anima. Papa Borgia (padre del duca Cesare, detto “il Valentino”, ammirato da Niccolò Machiavelli, e di Lucrezia, di celebrata bellezza e, forse a torto si narrò, di altrettanta scostumatezza) fu il primo dei diciotto pontefici del Cinquecento[4]. Dopo Alessandro VI Borgia sale Pio III (1503) e il bellicoso Giulio II (al secolo della Rovere, 1503-1513), sepolto in San Pietro in Vincoli ove è vegliato dal Mosé scolpito da Michelangelo, al Soglio di Pietro fu eletto Leone X (Giovanni de’ Medici, 1513-1521), creato cardinale a 13 anni ed eletto papa a 38. Mecenate e umanista di talento, ignorò la Protesta di Martin Lutero (1517), da lui liquidata come “bega di frati”, e altri movimenti religiosi bollati come eresie radicate in pulsioni sociali represse con ferocia belluina sino alla pace di Augusta che confermò il principio “cuius regio eius et religio”. La cristianità fu polarizzata in compartimenti stagni, potenzialmente conflittuali. Fu la negazione dell’unità dei cristiani d’Occidente (evangelizzati da appena un millennio o anche molto meno), in aggiunta a quella mai ricomposta tra la chiesa di Roma e quella d’Oriente, migrata a Mosca dopo l’espugnazione di Costantinopoli da parte di Maometto II (1453), che ordinò stragi orripilanti in nome del suo Dio, “clemente e misericordioso”. Nel 1566, dopo altri[5], fu la volta del piemontese Pio V (1566-1572).
Un domenicano sul soglio di Pietro
Accolto nell’Ordine dei domenicani dall’adolescenza, studioso, predicatore e docente di spicco a Pavia, Alba, Vigevano e all’Università della dotta Bologna, inquisitore nella diocesi di Pavia dal 1542 e a Bergamo, ove indagò il vescovo Vittore Soranzo, sospettato di eresia, ma fu travolto dall’insurrezione popolare che lo costrinse a fuggire a Roma, nel 1551 Antonio Maria Ghislieri fu nominato commissario generale dell’Inquisizione romana e si dedicò[6] con impeto ai processi contro eretici, scismatici e persino alti ecclesiastici, cardinali compresi. Eletto papa col sostegno di Carlo Borromeo, a sua volta niente affatto tenero con eretici, streghe e “maghi”, Pio V si mosse sulla scorta del precetto di Paolo di Tarso, ribadito da Tommaso d’Aquino: il potere viene esclusivamente da Dio tramite il Vicario di Cristo. L’imperatore era tale perché investito dal papa, depositario della prerogativa di fare cose sacre, “sacrificare”. A lui, quindi, come ogni re, principe o repubblica, doveva obbedienza. Per farsi capire con chiarezza da chi gli doveva ascolto e obbedienza, nel 1571 Pio V istituì la Sacra congregazione dell’Indice dei libri proibiti, mettendo a regime quanto avviato dai predecessori, e insediò il Tribunale dell’Inquisizione in un nuovo fastoso palazzo, dotato di celle ove rinchiudere gli inquisiti. Fu la sorte degli umanisti Pietro Carnesecchi e Aonio Paleario, arsi vivi nel 1567 e 1570, mentre Niccolò Franco, sospettato autore di pasquinate, venne solo impiccato l’11 marzo 1570. Nel 1571 Papa Ghislieri fu il promotore della Lega Santa contro l’espansione dell’impero turco-ottomano verso il Mediterraneo occidentale e della vittoria della flotta cattolica a Lepanto (sulla costa greca) contro quella islamica (7 ottobre 1571, coincidente con l’introduzione della recita del Rosario). Celebrata come sconfitta dell’Islam, Lepanto bruciacchiò appena qualche pelo della barba del Sultano, che continuò a dominare il Mediterraneo orientale e l’Europa sud-orientale, avanzò sin sotto Vienna e dominò tanta parte della penisola balcanica sino alla Grande Guerra del 1914-1918. Le conseguenze sono ancor oggi sotto gli occhi. Restauratore della Chiesa di Roma, tramite la riorganizzazione di poderosi ordini religiosi e cavallereschi e nuove norme di morale cristiana, Pio V si impose all’Imperatore (Massimiliano II), ai re di Spagna, Portogallo e Francia, nonché ai principi d’Italia, tutti dipendenti dall’imperatore, inclusi i de’ Medici che da duchi di Firenze furono elevati a Granduchi di Toscana. Del pari lottò[7] contro gli scismatici d’Inghilterra, Germania, Svizzera.
Da Pio V a Francesco I
Sepolto in Vaticano, nel 1588 la salma di Pio V fu traslata in Santa Maria Maggiore, la Basilica oggi extraterritoriale particolarmente cara a papa Francesco, che l’ha eletta per sé. Ma papa Francesco lo ha anche a modello? Il processo canonico avviato a carico di Viganò ha a che fare con l’inquisizione del Cinquecento? Va escluso. L’orizzonte del gesuita che ha scelto nome di Francesco d’Assisi è planetario. Per ora nessun papa ha preso nome di “Domenico”: una omissione che fa riflettere.
Aldo A. Mola
Figura nel testo: “Ritratto di San Pio V Ghislieri” di Scipione Pulzone
[1] Miti fondativi e leggende insegnano, tuttavia, che appena gli ominidi vennero al mondo Caino uccise suo fratello Abele. Appena tracciò il solco di Roma, Romolo lo insanguinò uccidendo suo fratello Remo. E così via. Dunque, se oggi va male, non bisogna lamentarsene troppo. L’Europa ha dato un cospicuo saggio di ferocia nella prima metà del Novecento, suggellata dagli Stati Uniti d’America, che si sono procacciati il poco invidiabile primato nella serie dei crimini di guerra con il lancio di due atomiche sul Giappone nell’agosto 1945. Ma non vi è limite al peggio. Tocca quindi a ciascuno fare del suo meglio per impedire la catastrofe finale e irreversibile.
[2] In più accusa la chiesa di Cristo, incardinata su San Pietro, di favorire l’immigrazione illegale e di propiziare la “sostituzione etnica” che è stata presa a prestito per battaglie ideologico-partitiche da movimenti in caccia di consensi. Lo fa dagli USA, cioè, scommettendo sull’ignoranza di chi, seguendolo, scorda che la popolazione dell’America Settentrionale è in massima parte di antichi anti-cattolici (come quaccheri e “tremolanti”). Colà rifugiati per sottrarsi alle persecuzioni di altre sette cristiane, quei migrati vi si affermarono sterminando i nativi, che vi campavano da millenni.
[3] Doppiato il Capo delle Tempeste, iniziò l’esplorazione dell’Oceano indiano sino alle Molucche e alle Filippine, ove per sua sventura approdò Magellano, che vi venne ucciso dopo aver attraversato per primo il Pacifico, come poi narrò Antonio Pigafetta tornato in Portogallo con l’unica delle tre navi salpate due anni prima per circumnavigare il globo e dimostrare una volta per tutte la sua “continuità”. Per gli europei che all’epoca contavano (erano ancora tutti cristiani), le scoperte geografiche comportarono di interrogarsi su genesi e destino ultraterreno delle genti che non avevano conosciuto l’evangelizzazione dei primi secoli dopo Cristo né quella dei propagatori della fede nell’Europa orientale dopo l’istituzione del Sacro romano impero. Rimasti incolpevolmente ignari dall’origine del Verbo salvifico, i “selvaggi” erano condannati a priori alla pena eterna o potevano essere salvi per propria innata bontà? All’epoca il quesito era lancinante. La vita media era di breve durata e generalmente afflitta da tutti i mali possibili. Quindi l’aldilà era molto più appetibile della vita terrena, all’opposto di quanto oggi accade per chi cerca di procacciarsi il paradiso quaggiù e fa il possibile per fruirne all’infinito, nel sospetto che sia l’unica certezza.
[4] Ebbe impulso la cristianizzazione dei Nuovi Mondi, propugnata dal primo pontefice del Cinquecento, quell’Alessandro VI Borgia che, nell’opinione corrente (cristallizzata nella narrazione anticlericale del Sette-Ottocento, di matrice giansenista più che illuminista), è ricordato per la licenziosità assai più che per la geniale mediazione da lui esercitata fra Spagna e Portogallo affinché cooperassero alla conquista dell’America centromeridionale in spirito di competizione anziché di conflitto. Tracciando la “raya” egli assegnò gli spazi nei quali i due regni cattolici potevano espandersi senza reciproco nocumento. Papa dal fatidico 1492 (l’anno dell’approdo di Cristoforo Colombo a San Salvador e della morte di Lorenzo il Magnifico, che riprecipitò l’Italia nelle guerre tra i suoi Stati principali, a vantaggio di Impero e Francia che vi si combatterono ferocemente nei decenni seguenti) sino al 1503,
[5] Dopo il pontificato dell’olandese Adriano VI (1522-1523), un altro papa di Casa de’ Medici, Clemente VII (1523-1534), subì il “sacco di Roma” compiuto nel 1527 dai lanzichenecchi: protestanti, evangelici o semplicemente barbari assetati di bottino. Erano giunti col beneplacito dal sacro imperatore Carlo V d’Asburgo che tre anni dopo celebrò in Bologna la pace con il Vicario di Cristo. Il suo successore, Paolo III (1534-1549), cardinale da quando aveva 25 anni, equidistante tra Francia e Impero, fece (male) i conti con Giovanni Calvino, eresiarca a Ginevra, e con Enrico VIII d’Inghilterra, già “defensor fidei”, da lui scomunicato nel 1535. Per rimettere in sesto la Chiesa organizzò Cappuccini, Orsoline, la Compagnia di Gesù ideata da Ignazio di Loyola e il tribunale dell’Inquisizione. Padre di quattro figli (generati prima della sua ordinazione ecclesiastica e ai quali assicurò onori militari e Stati), non si limitò a reprimere. Indisse il Concilio ecumenico con sede a Trento (1545-1563), convocato nei confini dell’Impero ma nel 1547 trasferito a Bologna per sottrarlo alla diretta influenza di Carlo V, per calcoli politici indulgente verso agli a-cattolici.
Con lui iniziò la riscossa della Chiesa. All’epoca nell’Europa centro-occidentale, perdute le popolazioni settentrionali (penisola scandinava, Danimarca, Boemia, tanta parte della Germania, Paesi Bassi…), l’Inghilterra, parte della Svizzera e mentre in Francia cominciavano a diffondersi gli ugonotti, la Chiesa di Roma aveva confini sempre più stretti. Però, tramite i regni di Portogallo e di Spagna, contava missioni negli altri continenti. Con ordini religiosi rinnovati, potenziati o di recente istituzione (fu il caso dei Gesuiti, “Militia Christi”) operava all’interno della società, non solo tramite i confessori di sovrani, principi, statisti e condottieri ma anche nei ceti più umili, avvicinati, in molti casi per la prima volta, a pratiche devozionali. Il secolo dei roghi fu lo stesso dei santi Filippo Neri e Giuseppe Calasanzio. Dopo Giulio III (1550-1555), Marcello II (1555), Paolo IV (1555-1559), Pio IV (1559-1565), al quale si deve la “Professio fidei tridentinae”, pilastro della Controriforma cattolica e, per evocarne un dettaglio, l’edificazione di Santa Maria degli Angeli,
[6] Grande Inquisitore dal 1558, con coerente severità suscitò indirettamente la sollevazione dei romani che, alla morte di Paolo IV, assalirono e distrussero la sede dell’Inquisizione. Per allontanarlo da Roma, il più mite Pio IV lo creò vescovo di Mondovì, prestigiosa e vasta diocesi della futura provincia di Cuneo. Mentre il Piemonte era teatro di conflitti e, vincitore sui francesi a San Quintino, Emanuele Filiberto di Savoia stava riconquistando il ducato tendendo la mano ai valdesi, Ghislieri usò mano ferrea contro ogni refolo di eresia, al pari di quanto avveniva in Spagna nei confronti dei cripto-giudei (i marrani, sospettati di conversione al cristianesimo per opportunismo) e i “moriscos” (ex islamici di dubbia lealtà). Si scatenò un turbine di fanatismo connesso all’impossibile “limpieza de sangre”.
[7] Tre le sue iniziative per bonificare la Terra Santa europea dall’infezione degli infedeli due spiccarono e lasciarono lugubre memoria del suo magistero. Anzitutto vietò agli ebrei di possedere proprietà immobiliari e li obbligò a concentrarsi nei ghetti appositamente loro riservati e presto sovrappopolati in condizioni igieniche degradate a Roma, Ancona e Avignone (dominio pontificio). Nella predicazione e nell’opinione diffusa, gli ebrei erano classificati come “popolo deicida”, mentre alcuni furono accusati dell’assassinio di bambini per ragioni liturgiche. Ne nacque il culto dell’inventato San Simonino da Trento. Altrettanto spietata fu inoltre la repressione armata dei valdesi a Guardia Piemontese e a San Sisto, in Calabria, sterminati nel giugno 1561 su suo impulso di Grande Inquisitore.