Il Ricordo delle vittime delle foibe, dell’esodo ed anche dei fatti storici e politici oscurati

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Ogni 10 febbraio, Giorno del Ricordo, le polemiche infuriano per le foibe. La ricorrenza è ufficiale e completa il quadro delle solennità civili che la Repubblica italiana propone per conservare la ‘Memoria’ e il ‘Ricordo’ di quanto accadde durante e dopo la seconda guerra mondiale. Sono due termini che sembrano simili, però si riferiscono a fatti storici diversi e per alcuni aspetti coincidenti: il primo è riferito alla persecuzione degli ebrei e alle deportazioni nei lager di civili italiani da parte dei nazisti e fascisti, il secondo è riferito all’eliminazione della popolazione di cultura italiana nelle zone del confine Orientale (Trieste, Gorizia, Istria, Fiume, Dalmazia e Zara) da parte dei comunisti titini.

Quest’ultimo è il “Ricordo” più ostico da digerire, tanto che ancora oggi alcuni gruppi politici, solo di sinistra estrema, ne mettono in discussione il significato. Non sono solo dei nostalgici del regime jugoslavo ma persone che ignorano il senso profondo del termine “ri-cordo”, riportare al cuore, alla mente, delle conoscenze che rischiano di essere dimenticate. L’oblio a volte è necessario, però in questo caso è opportuno ricordare. Come diceva Primo Levi, se è accaduto una volta può ripetersi ancora. Sono da ricordare gli oltre 10 mila morti dopo la fine della II Guerra, uccisi in tempo di pace, più le altre decine di migliaia di scomparsi nei campi di internamento e nei lager titini. E’ da ricordare il contemporaneo conflitto strisciante, denominato “triangolo rosso”, che ha colpito il nord-Italia. Purtroppo, l’argomento “Foibe” e quello dei crimini dei titini sembrano ancora tabù dopo oltre 75 anni. Cosa c’è dietro le quinte che non è stato detto?

Abbiamo chiesto a Giovanni Fasanella, giornalista d’inchiesta, che ha pubblicato due volumi, nel 2020 e 2021, in base alle carte de-secretate dei servizi inglesi, lumi su questo pezzo oscuro della storia d’Italia. Un punto importante in questa storia è il patto Togliatti-Kardelj stipulato a Bari dell’ottobre 1944, dove il PCI acconsentiva alla cessione territoriale della Venezia Giulia al regime comunista di Tito. Fasanella gentilmente ci ha risposto confermando quanto aveva già dichiarato a Il Piccolo due anni fa, sul ruolo di Tito e dei comunisti a lui fedeli in Italia:

L’organizzazione che coordinava le formazioni segrete titine attive in Italia era guidata da un montenegrino, Arsenio «Arsa» Milatović, l’Allied Advisory Council (Aac), a Roma. «Arsa» aveva cominciato ad addestrare i gruppi d’azione dell’apparato comunista alla «guerra per bande e alla guerriglia urbana», ispirandosi all’esperienza dell’esercito di liberazione jugoslavo. Per gli «sforzi rivoluzionari» in Italia, l’Ozna [il Servizio segreto del maresciallo Tito] disponeva di «forti mezzi finanziari», si parlava addirittura di «alcuni miliardi di lire».

I primi moti al Nord sarebbero dovuti scoppiare nel marzo 1946, «secondo le strategie e le tattiche già sperimentate in Jugoslavia» e con «l’assistenza bulgara». L’Ozna aveva distribuito i suoi sicari in centinaia di piccoli gruppi a compartimenti stagni, disseminandoli in tutta l’Italia centrosettentrionale. Erano le troike, composte ognuna da tre elementi specializzati in ogni genere di sabotaggio, sequestri di persona, rapine e omicidi politici. E naturalmente nell’arte del doppio gioco, perché capaci di penetrare sia la sinistra insurrezionalista sia la destra neofascista, che si stava anch’essa riorganizzando in gruppi armati clandestini. Non a caso, gli uomini delle troike erano stati arruolati tra gli ex partigiani titini in contatto con i garibaldini italiani, ma anche tra gli ex agenti italiani e tedeschi dei Servizi nazifascisti e gli ustascia croati che durante la guerra avevano collaborato con gli occupanti italotedeschi.

In pratica si era formata una rete clandestina subito dopo la fine della Guerra?

Si, era la rete clandestina del Pci. L’apparato era guidato da militari forgiati nella lotta di Liberazione, gente addestrata a Mosca o dalle forze titine. Si era nutrita del mito della rivoluzione comunista. L’idea di deporre le armi, ora che l’obiettivo sembrava davvero a portata di mano, non era proprio nelle loro intenzioni.

Chi erano i principali esponenti?

Grieco, Longo, Secchia, Moscatelli: era questo il quartetto al comando della rete clandestina comunista. Al suo interno, a un livello ancora più segreto, agivano le cellule terroristiche dei «Gruppi d’azione». Quelle costituite dall’Ozna e dalle sue troike. E che ben pensarono di riesumare il nome glorioso delle formazioni partigiane attive durante il periodo bellico nelle operazioni di guerriglia urbana GAP: Gruppi d’azione Patriottica. I «nuovi Gap» comparvero negli allarmati rapporti angloamericani a partire dall’estate-autunno del 1945. E non solo con riferimento alla drammatica situazione nel Nord-est. 

In quale area agivano?

La rete gappista si era ormai estesa al resto dell’Italia settentrionale e centrale. Emilia e Toscana erano il nuovo epicentro della riorganizzazione gappista. Il controspionaggio alleato ne segnalò la presenza in un lungo memorandum nel novembre 1945. Fino a quel momento, soltanto nell’area intorno a Bologna, i «nuovi Gap» si erano resi responsabili dell’«eccidio a sangue freddo di circa 600 persone», senza contare l’altrettanto elevato numero di «persone sequestrate» e il cui destino continuava a essere «ignoto». Le cellule terroristiche erano composte da giovani tra i diciotto e i venticinque anni, convinti che «la violenza e la forza bruta siano sinonimo di patriottismo», ed erano controllati da elementi «intellettualmente dotati». Ma al loro interno non vi erano solo ex partigiani ed ex repubblichini.

Emerse insomma che si trattava di formazioni composte anche da «molti criminali comuni», il cui passato era noto soltanto ai coordinatori delle squadre paramilitari. I quali li convincevano a compiere azioni efferate sotto la «minaccia di denuncia» penale alle autorità alleate e italiane. Spesso, quei malavitosi venivano «eliminati» dai loro stessi capi, subito dopo aver partecipato a massacri o aver compiuto delitti selettivi su commissione. In pratica, si trattava di «formazioni clandestine» che avevano seguitato a «prepararsi e ad addestrarsi sulle montagne» anche dopo la Liberazione.

Al punto che nel corso dell’estate del 1945, precisa il documento, era possibile udire «il suono dei mitra e delle armi automatiche leggere» nei luoghi più «desolati e accidentati» dell’Appennino tosco-emiliano.

Siamo quindi a pesanti interferenze straniere in territorio italiano, che permangono ancora oggi nell’inconscio ex-comunista. Come si erano organizzati?

A Lubiana era stata aperta una «scuola politica comunista» per «allievi italiani», gestita da «ufficiali sovietici» e da agenti della Vojska Državna Varnost (Vdv), ossia l’esercito per la difesa dello Stato, uno dei tanti organismi di spionaggio che avevano preceduto la nascita dell’Ozna. Gli agenti della Vdv erano solitamente reclutati fra i «membri del partito comunista jugoslavo, i criminali comuni, i soggetti particolarmente crudeli e brutali».

L’organismo comprendeva inoltre «spie, informatori e delatori» di professione, i quali erano soliti «terrorizzare la popolazione civile con massacri e purghe», operando appunto in collaborazione con malviventi e assassini.

A Milano, intanto, i consolati dell’Urss e della Cecoslovacchia fornivano ai «nuovi gappisti» i passaporti per recarsi in Slovenia.

Era quindi plausibile, scriveva un rapporto del CIC alleato nel dicembre 1946, che «elementi slavi» fossero ora in una posizione di forza anche «nei Gap riorganizzati». Alla vigilia del 25 aprile, infatti, «un gran numero di slavi di sinistra» era già «al comando dei Gap».

Grazie a Giovanni Fasanella per questo pezzo di storia d’Italia. Una storia da riscrivere, come aveva cercato di fare Paolo Pansa, per ricordare tutte quelle persone che sono state vittime dell’odio e dell’ideologia, non solo nelle “Foibe” ma anche nei campi del “Triangolo rosso”, che sono ancora senza un fiore o una croce.

Non è mai troppo tardi per rendere a Loro giustizia!

 

 

Nel dopoguerra gli agenti di Tito in Italia preparavano l’insurrezione dei comunisti

Saggio di Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella, “Le menti del doppio Stato – Dagli archivi anglo-americani e del servizio segreto del Pci il perché degli Anni di Piombo” (Chiarelettere, pagg. 347, euro 19).

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