1943. I dubbi sulla mancata cattura di Mussolini e le bugie di Winston Churchill
di Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino
A 80 anni dalla destituzione di Benito Mussolini (25 luglio 1943) e dalla firma dell’armistizio tra Italia e Alleati (3-8 settembre 1943) sono ancora molte le domande senza risposta certa. Alcune riguardano la fuga del Duce a Campo Imperatore e la sua liberazione da parte dei tedeschi con un blitz di paracadutisti delle SS guidati dal capitano Otto Skorzeny (12 settembre 1943): perché, pur potendo impedire la fuga di Mussolini sul Gran Sasso, Badoglio e i Servizi inglesi lo “lasciarono andare”? e perché, pur avendo intercettato i piani nazisti per un blitz a Campo Imperatore e pur potendo prevenirli, i Servizi inglesi “lasciarono fare”? Sono domande di grande importanza, alla luce degli eventi successivi. Se infatti il Duce del fascismo fosse stato catturato dagli inglesi, con ogni probabilità la guerra in Italia sarebbe finita molto prima, non ci sarebbe stata la Repubblica di Salò e ci saremmo risparmiati una dolorosa guerra civile. Forse… Quel che è certo è che Winston Churchill mentì, come emerge dalla documentazione britannica.
Le spiegazioni di Churchill
“Un attacco [tedesco] spericolato e del tutto inaspettato” ha impedito al “governo Badoglio” di “consegnare Mussolini agli Alleati”, una promessa che il nuovo capo del governo italiano si era “impegnato” a mantenere già nel corso delle trattative segrete per l’Armistizio, firmato a Cassibile (Sicilia) il 3 settembre 1943. Sono queste le parole che il premier britannico Winston Spencer Churchill pronuncia a caldo subito dopo aver appreso che il 12 settembre 1943 un commando di parà germanici ha liberato l’ex duce a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. La notizia viene comunicata al capo del governo inglese mentre si trova a Washington per sostenere una serie di importanti colloqui con il presidente americano Franklin D. Roosevelt, il principale alleato della Gran Bretagna nel conflitto mondiale contro le potenze dell’Asse.In quell’estate del 1943 gli eventi si susseguono senza tregua. L’Italia è ormai al collasso. Gli Alleati sbarcano in Sicilia il 10 luglio e bombardano Roma il 19, provocando morte e distruzione. Mussolini viene sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo all’alba del 25, a Palazzo Venezia, e Vittorio Emanuele III ne ordina l’arresto poche ore più tardi, sostituendolo alla guida del governo con il maresciallo Pietro Badoglio. L’ex dittatore viene tradotto prima a Ponza, poi alla Maddalena (Sardegna) e infine al Gran Sasso, nell’Italia centrale, dove arriva il 28 agosto sotto scorta dell’Arma dei Carabinieri. Di ritorno dall’America, Churchill si presenta alla House of Commons il 21 settembre, a Londra, per aggiornare i parlamentari di Westminster sull’andamento degli eventi bellici nei vari fronti di guerra. Una parte del suo discorso è ovviamente dedicata alla recente liberazione di Mussolini. Sir Winston dichiara che durante le discussioni segrete con i rappresentanti del governo Badoglio – avvenute a metà agosto 1943 a Madrid e a Lisbona, colloqui che avrebbero portato alla firma dell’Armistizio il 3 settembre –, le potenze alleate avevano inserito “una clausola specifica” che prevedeva “la consegna di Mussolini” alle autorità militari anglo-americane. Nondimeno, precisa Churchill, “non è stato possibile” far sì che l’ex duce fosse affidato alle potenze alleate “con modalità speciali e separate” rispetto ai numerosi “criminali di guerra” nazifascisti che già comparivano nelle liste compilate da Londra e Washington. Non è stato possibile, insomma, afferma il capo del governo britannico, procedere con quel piano “prima della firma dell’Armistizio” e dello “sbarco” delle truppe alleate nell’Italia continentale. Se così fosse avvenuto, spiega Sir Winston, il “nemico” tedesco avrebbe certamente compreso le reali “intenzioni” del governo Badoglio. E in quel momento l’Italia era ancora una nazione “alleata della Germania”. Giorno dopo giorno, insomma, afferma Churchill, per Badoglio si faceva sempre più “arduo” mantenere il controllo della situazione mentre la Gestapo “gli puntava una pistola alla nuca”. A Downing Street, continua il premier inglese nel suo discorso del 21 settembre alla House of Commons, “avevamo tutte le ragioni per credere che Mussolini fosse tenuto sotto stretta sorveglianza in un luogo sicuro” dopo il suo arresto avvenuto il 25 luglio, mentre è certo che era “nell’assoluto interesse del governo Badoglio vigilare affinché egli non scappasse”. L’ex duce in persona, tra l’altro, aggiunge Sir Winston, era ormai convinto che a breve sarebbe stato “consegnato agli Alleati”. Si trattava comunque di “circostanze interamente fuori dal nostro controllo”, precisa, mentre è indubbio che non vi è stata “negligenza alcuna, o il venir meno alla parola data, da parte del governo Badoglio”.
Nella prima foto, Ian Fleming, durante la Seconda guerra capo dei commandos dello Special Air Service britannici, e poi ‘inventore’ di James Bond, l’agente 007. Nella seconda foto, il capitano delle SS Otto Skorzeny, che guidò il blitz dei parà tedeschi a Campo Imperatore.
I cablogrammi Roma-Berlino intercettati dai servizi inglesi
“Un attacco [tedesco] spericolato e del tutto inaspettato”, lo abbiamo visto nella prima puntata, aveva dichiarato a caldo Sir Winston nelle ore successive alla liberazione di Mussolini. Una versione tuttavia smentita sei decenni più tardi da numerosi telegrammi crittati intercorsi tra la Roma occupata dai nazisti e la capitale del Terzo Reich, Berlino, nei mesi di agosto e settembre del 1943. Cablogrammi intercettati in tempo reale dai servizi d’intelligence inglesi e ritrovati da uno degli autori di “Nero di Londra” (Chiarelettere) nell’estate del 2007 a Kew Gardens, sede dei National Archives britannici. Documenti successivamente pubblicati dal quotidiano “la Repubblica” nel marzo 2008 e nel settembre 2010. Di “inaspettato” c’è ben poco, dunque, giacché i telegrammi tedeschi intercettati dallo spionaggio di Sua Maestà giungono ora dopo ora sul tavolo di Churchill, a Downing Street, sin dal 2 agosto 1943. Quel giorno il colonnello Herbert Kappler, il capo dello Sichereitsdienst nazista (Sd) a Roma, scrive ai suoi superiori berlinesi delle Ss che “il Duce si trova dall’altro ieri nell’isola di Ponza”. Grazie alle loro spie, i tedeschi seguono passo passo i movimenti del prigioniero Mussolini. Il 15 agosto Kappler apprende che l’ex dittatore “sarebbe stato tradotto all’isola della Maddalena”, in Sardegna, mentre il 29 agosto i nazisti ricevono la conferma che ha lasciato l’isola due giorni prima e che “è stato già tradotto a sud del Lago Trasimeno”, nell’Italia centrale. In pratica, la versione raccontata il 21 settembre da Sir Winston ai parlamentari di Westminster non regge dinanzi alla cronaca nuda e cruda degli eventi contenuta nei cablogrammi germanici. Perché alle ore 22.00 del 5 settembre lo spionaggio inglese aveva già intercettato un telegramma firmato da Kappler e inviato a Berlino, in cui il colonnello delle Ss scrive che “con ogni probabilità il Duce si trova in un albergo” sul Gran Sasso. Sono trascorse quarantotto ore appena dalla firma dell’Armistizio di Cassibile. Il 7 settembre Kappler conferma poi ai vertici nazisti che Mussolini “si trova ancora nell’albergo di Campo Imperatore”. Come abbiamo scritto nel paragrafo precedente, nell’aula della House of Commons, il 21 settembre, Churchill tenta invece di far passare la versione che “non è stato possibile” far sì che l’ex duce fosse consegnato alle potenze alleate “prima della firma dell’Armistizio” del 3 settembre. Ma allora perché non procedere con quel piano subito dopo, a firma avvenuta? Alle ore 22.00 del 5 settembre, infatti, lo abbiamo visto poc’anzi, l’intelligence inglese è già in possesso dell’informazione che Mussolini è tenuto prigioniero a Campo Imperatore e che i nazisti sono in procinto di liberarlo. Da quel momento, però, trascorrono quasi settantadue ore – dalle 22.00 del 5 settembre alle 19.45 dell’8 settembre (data quest’ultima in cui viene diffusa dai microfoni dell’Eiar la notizia della resa dell’Italia) – senza che il premier britannico si attivi minimamente per far pressione su Badoglio affinché consegni agli Alleati l’ex capo del Fascismo, sabotando in tal modo l’imminente blitz dei parà tedeschi guidati da Otto Skorzeny (Ss). Da Londra, in alternativa, Churchill sarebbe stato comunque in grado di ordinare ai celebri commandos dello Special Air Service (Sas) di prelevare Mussolini dalla sua prigione sul Gran Sasso subito dopo l’8 settembre, approfittando del caos che regnava già in tutta Italia. Oppure servirsi della 30 Assault Unit che rispondeva agli ordini del comandante Ian Fleming, l’inventore negli anni Cinquanta della saga di James Bond, il mitico agente segreto “007 al servizio di Sua Maestà”. Lo Special Air Service e gli uomini di Fleming, infatti, sono presenti in Sicilia sin dal mese di luglio, in seguito allo sbarco anglo-americano nell’isola. Perché invece Sir Winston lascia fare i tedeschi nei sette, lunghi giorni che vanno dal 5 al 12 settembre 1943, data quest’ultima dell’audace impresa messa a segno da Skorzeny?
Nelle foto sopra la “prigione” di Benito Mussolini a Campo Imperatore e Winston Churchill
La liberazione di Mussolini e il pamphlet di Michael Foot contro i conservatori britannici
Il via libera al blitz dei paracadutisti tedeschi arriva a Roma la sera dell’8 settembre, quando Heinrich Himmler, il comandante delle Ss, “concede totale libertà d’azione per la liberazione di Mussolini”. Nome in codice: “Operazione Quercia”, che subisce però un “rinvio” a causa dei combattimenti che impegnano le forze armate germaniche a Porta San Paolo in vista dell’“occupazione di Roma”, come recita un cablo spedito a Berlino la mattina del 10 settembre, mentre la sera dello stesso giorno i vertici dei Servizi nazisti ordinano che la liberazione di Mussolini “sia eseguita con determinazione assoluta, con tutti i mezzi a disposizione e a qualsiasi condizione”. Detto fatto: nel primo pomeriggio del 12 settembre Kappler informa Berlino che “questa mattina alle ore 10.00 il commando di paracadutisti agli ordini di Skorzeny ha iniziato l’operazione sul Gran Sasso. Attendiamo ancora la conferma del buon esito dell’azione”. Nelle ore successive è ancora Kappler a scrivere che “la liberazione di Mussolini è stata portata a termine con successo”. La versione di Churchill enunciata il 21 settembre a Westminster presenta non poche ambiguità, ma sembra convincere gran parte del mondo politico e della pubblica opinione in Gran Bretagna. All’epoca, infatti, l’affaire ultrasegreto dei cablogrammi tedeschi in possesso dello spionaggio inglese è noto soltanto a pochissime persone dell’entourage del premier. A Londra, tuttavia, i rumors circolano insidiosi in quella tarda estate del 1943. Anche perché sta per uscire il nuovo libro dell’enfant terrible del giornalismo anglosassone, Michael Foot, come racconta ampiamente “Nero di Londra”. Appresa la notizia dell’arresto di Mussolini nella tarda serata del 25 luglio, il giovane reporter si mette subito al lavoro e scrive in poche settimane una pièce teatrale intitolata “The Trial of Mussolini”, dove “Cassius” (uno dei molti nom de plume del cronista) mette in scena un immaginario “Processo a Mussolini” a Londra “nel 1944 o nel 1945”, dove è una corte inglese a giudicare l’ex duce. Con dovizia di particolari, Foot racconta così l’idillio politico cominciato nell’ultima fase della Grande Guerra fra il trentaquattrenne Benito Mussolini, brillante direttore de “Il Popolo d’Italia”, e l’ampia schiera degli alfieri dell’establishment conservatore nel Regno Unito. A cominciare da Neville Chamberlain, Winston S. Churchill e Samuel Hoare, responsabile quest’ultimo della stazione romana del Directorate of Military Intelligence (Dmi) britannico a partire dall’estate del 1917. Un idillio che andrà avanti tra alti e bassi per vent’anni e oltre, fino alla dichiarazione di guerra a Gran Bretagna e Francia pronunciata dal dittatore nel giugno 1940 dal balcone di Piazza Venezia. Un tempismo perfetto, quello di Foot, soprattutto perché la notizia della liberazione di Mussolini fa il giro del mondo proprio mentre “The Trial of Mussolini” sta per andare in stampa in Inghilterra. Il libro esce nell’ottobre 1943 e diventa subito un bestseller. Un successo straordinario con le sue 150mila copie vendute in pochi mesi in tutto il mondo anglosassone. Tra i primi a recensirlo – come si legge nella prima parte di “Nero di Londra” – è nientemeno che George Orwell, un gigante della letteratura del Novecento che conosce bene il giovane Michael Foot. Da vari mesi lavorano entrambi nella redazione del “Tribune”, un quotidiano vicino al mondo laburista britannico. La notizia della clamorosa liberazione dell’ex duce, avvenuta il 12 settembre 1943, è la prova ultima che Orwell attendeva per chiudere il cerchio delle sue acute analisi sull’ultraventennale, indicibile storia dei rapporti tra il capo del fascismo italiano e l’estrema destra dei conservatori inglesi.
Nelle foto sopra, la copertina del libro di Foot, Orwell e Michael Foot, il brillante giornalista (e poi leader laburista) che durante la guerra denunciò i rapporti tra i conservatori britannici e Benito Mussolini.
La profezia di George Orwell sulla morte di Benito Mussolini e l’imbarazzo dell’establishment conservatore britannico
L’articolo di George Orwell porta la data del 22 ottobre 1943 e viene pubblicato dal “Tribune” (lo scrittore cura le pagine di critica letteraria del giornale) con un titolo che è tutto un programma: “Who are the War Criminals?”, ossia “Chi sono i criminali di guerra?”. Orwell va subito al punto e si domanda «quali crimini» abbia effettivamente «commesso» Mussolini, posto naturalmente che gli si possano attribuire dei «misfatti». Quali sono inoltre gli «aspetti» del «regime interno» fascista passibili eventualmente di «giudizio» da parte di un qualsivoglia «organismo popolare» nel Regno Unito? Non vi è infatti, osserva, «alcuna furfanteria commessa da Mussolini tra il 1922 e il 1940 che non sia stata oltremodo glorificata dalle medesime persone che propongono ora di portarlo alla sbarra». Risulta dunque «decisamente improbabile», afferma il geniale autore inglese, che i «conservatori britannici» decidano di processarlo nel mondo reale, poiché l’ex “Uomo del Secolo” è «un ottimo capro espiatorio» mentre rimane «a piede libero». Ma si trasformerebbe in un «pericolo» se finisse in «galera» per mano degli Alleati. L’ex duce insomma, lascia intendere Orwell, potrebbe ad esempio decidere di esporre dinanzi a una corte britannica i dettagli degli appoggi occulti da lui ricevuti per mano del tenente colonnello Samuel Hoare, il capo del Dmi in Italia, a partire dall’autunno del 1917. Nella sua recensione, insomma, lo scrittore inglese anticipa già il dilemma sul destino di Mussolini di fronte al quale si troverà di lì a poco, a guerra conclusa, l’establishment del Regno Unito: ucciderlo senza processo e teatralità, correndo così il rischio di trasformarlo in un martire? O sottoporlo a un regolare giudizio, con l’azzardo di imbarazzanti chiamate in correità da parte dell’ex dittatore italiano? Alla fine di aprile del 1945, sulle rive del Lago di Como, i servizi d’intelligence inglesi opteranno chiaramente per la prima ipotesi.
Nel settembre 1943, intanto, l’Operazione Quercia sul Gran Sasso raggiunge l’obiettivo strategico di allontanare lo scenario da incubo per Churchill e soci di uno spettacolare processo londinese all’ex duce, dinanzi agli occhi del mondo intero. Per l’Italia, tuttavia, sta prendendo forma un’ulteriore, spaventosa catastrofe. Il 23 settembre un Mussolini redivivo annuncia la nascita della Repubblica Sociale Italiana (Rsi), uno Stato fantoccio agli ordini di Hitler. Inizia così una devastante guerra civile che durerà venti mesi. Qualche anno più tardi, sarà Churchill in persona ad ammetterlo nella sua celebre storia della Seconda guerra mondiale: in seguito alla liberazione di Mussolini del 12 settembre 1943 per mano di “novanta paracadutisti germanici”, scrive Sir Winston nel 1951, l’Italia ha attraversato “il periodo più tragico della sua storia”, divenendo “il campo di battaglia di alcune tra le battaglie più feroci” dell’intero conflitto bellico.
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