Con i tempi che corrono, è meglio stare in guardia a frequentare i salotti bene, specie quelli “radical-chic” o “esquerda/gauche caviar”. In tali ambienti, l’uso della parola è di estrema importanza, potete essere valutati, soppesati, esaminati e quindi promossi o ignorati. Se ad esempio avete un figlio di diciotto o diciannove anni che sta piacevolmente vivendo il suo tempo, non vi scappi di dire che sta godendo la sua “giovinezza”! Molto meglio dire che sta vivendo da vero teenager. Oppure, se volete essere un po’ provinciali, che sta godendo la sua gioventù. Giovinezza no. È sconveniente. Può far ricordare cose passate eppure di giovinezza ne scrisse persino Lorenzo il Magnifico nel “Trionfo di Bacco e Arianna”, o che la grande rappresentazione teatrale “Addio giovinezza” scritta da Camasio e Oxilia ai primi del Novecento (e messa su celluloide nel 1940) fu una delle più belle commedie di avventura sentimentale e goliardica nella Torino degli universitari. Non solo, ma l’inno “Giovinezza”, tanto in cuore al regime, fu rubato da una canzone studentesca che diceva “…son finiti gli anni lieti degli studi e degli amori, o compagni in alto i cuori e il passato salutiam… Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza…”. Altro lemma da evitare nel modo più assoluto, è quello di “camerata”. Mai vi venga in mente di uscire con un infelice “l’altro giorno ho incontrato un vecchio camerata! Anche lui aveva militato nel mio reggimento a Cividale del Friuli…”. Vi sentireste addosso occhi di bragia e qualcuno potrebbe togliervi il saluto o decidere di cancellarvi dalla mailing list di inviti o cocktail. Per noi che abbiamo fatto la naja, ma allo stesso modo per chi ha studiato in collegio o diviso lo spazio in un pensionato universitario, il “camerata” è semplicemente il compagno con il quale hai dormito nella medesima camera, o camerata. Accade quando il nome dell’ambiente investe il soggetto: si chiama metonimia. Ma chi sta all’erta sulle parole, non entra in tali dettagli. Ogni parola può essere un indizio, e ogni asserzione non conforme alla ipersensibilità di chi è il depositario diventa una condanna. Grande attenzione va posta anche durante i brindisi. Non vi salti in mente di dire “a noi”, nel senso di “auguri di buona salute a tutti noi”. Potreste essere accusati di volontà di ricostituzione del vecchio regime.
Altra parola poco gradita negli ambienti di cui sopra, è “alleati”. Parola fastidiosa se si allude a quei novantamila soldati Alleati che lasciarono la pelle sul suolo italiano nel 1943-45. Sì, certo, qualcuno degli invitati ammetterà che essi diedero una mano alla gloriosa ed eroica resistenza antifascista, la quale avrebbe comunque fatto da sola. Qui sforzatevi di non dissentire, e non raccontate la storiella della mosca posata su un corno del bue che dice ad un’altra mosca “… vedi? Stiamo arando”. Un altro termine da sempre sgradito è la parola “nazione”. Addirittura, può provocare l’orticaria se scritta con la maiuscola. Ma, fortunatamente, parlando non si sente. Nazione porta il medesimo etimo di nazionalismo, nazionalista, nazi… e mi fermo qui! In questi ambienti invece è assai gradito il termine ‘Paese’. Meglio se scritto con la minuscola, perché lorsignori detestano la retorica. A meno che non riguardi la Resistenza e l’Antifascismo. Paese è invece ritenuto più significativo con la minuscola, così si configura (e confonde) con qualsiasi borgo di poche case, rappresentativo di comunità senza storia, né particolari ambizioni, né orgoglio, né identità o sovrana dignità da difendere. Ovvero un “paese” suddito, umile, senza ambizioni e sottomesso ad altri.
Se la discussione va sulla politica, fate attenzione, è possibile essere solo “antifascisti”. Se ad esempio affermate di essere “antitotalitari”, ovvero contrari ad ogni e qualsiasi forma di regime oppressivo o autoritario, sicuramente non vi guadagnerete l’invito al prossimo party. Ed è presto spiegato. Nell’antitotalitarismo includereste anche i regimi con la ‘falce e martello’ che fecero circa cento milioni di vittime nel mondo, con epurazioni, razzismi e torture. Regimi che, nonostante ciò, sono rimasti ancora nel cuore di molti vecchi sostenitori, che sostengono che l’idea “fu applicata male” o che “alcuni compagni sbagliarono”. Sono quelli che sostenevano che “uccidere un fascista non è reato”. Dulcis in fundo, se per puro caso abitate a Milano, magari in via Balilla e frequentate tali ambienti, il consiglio è di cambiare residenza o non dire assolutamente nulla al riguardo. Ma non è colpa loro, a scuola erano distratti, non sanno che “balilla” è il soprannome attribuito a Giovan Battista Perasso, il ragazzino genovese che nel 1746 diede inizio alla sollevazione popolare di Genova contro l’occupante austriaco, scagliando un sasso verso i soldati che obbligavano dei cittadini a rimuovere un cannone in panne. Un simbolo di coraggio, di lotta per la libertà e l’indipendenza dunque. Attenti ai salotti buoni. Le parole a volte sono pietre. Ma molto spesso un pretesto.
Daniele Carozzi