“Affitti & Prestiti” in guerra

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di Mirko Molteni

Guerra per procura

Soffia un brutto vento sull’Europa, il muro contro muro Est-Ovest in Ucraina mette radici promettendo una guerra duratura e dagli sviluppi imprevedibili. A oltre due mesi e mezzo dall’inizio della cosiddetta “operazione speciale” delle forze russe, che Mosca non considera una guerra a sé stante, reputandola evidentemente conseguenza degli spargimenti di sangue in atto in Donbass dal 2014, gli iniziali sospetti, condivisi da molti esperti, sul carattere di “guerra per procura” fra Russia e NATO di cui gli ucraini sono strumento, ovvero carne da cannone, hanno trovato crescenti conferme negli ultimi giorni con l’alternanza fra possibili aperture ucraine a un dialogo con il Cremlino e un’intransigenza ferrea da parte degli Stati Uniti, che, anzi, hanno fatto di tutto finora per presentare lo scontro in termini epocali con richiami fin troppo frequenti alla Seconda Guerra Mondiale e alla lotta fra democrazie e dittature. Dimenticando però, a beneficio delle semplificazioni giornalistiche, che 80 anni fa la coalizione contro l’Asse germano-italo-giapponese comprendeva anche una dittatura, quella sovietica di Stalin. Ma che la realtà sia molto più complessa delle stucchevoli rappresentazioni di “Bene contro Male”, lo testimoniano anche le numerose sfumature della situazione odierna, dato che lo schieramento ostile alla Russia non abbraccia certo tutte le democrazie del mondo, anzi, la democrazia più popolosa, l’India, non si pone problemi nell’offrire appoggio a Mosca, rifiutando ogni ipotesi di sanzioni, nonostante condivida questo atteggiamento col regime comunista cinese, col quale pure Nuova Delhi ha contenziosi sul confine dell’Himalaya.

Muro contro muro

Eppure l’11 maggio 2022 il presidente ucraino Volodymir Zelensky ha ancora parlato in termini manichei, scrivendo su Telegram: “E’ chiaro a tutto il mondo libero che l’Ucraina è la parte del bene in questa guerra. E la Russia perderà, perché il male perde sempre”. Parole letteralmente improponibili in diplomazia, che sembrano dettate a Kiev dal “padre-padrone” americano che ha tutto l’interesse che la guerra prosegua. Non è un caso che quella che era sembrata una timida apertura dello stesso Zelensky pochi giorni prima, quando aveva posto come condizione dei negoziati “il ritiro dei russi sulle posizioni tenute il 23 febbraio”, cioè fino al giorno precedente l’inizio dell’invasione, senza nominare esplicitamente la restituzione della Crimea, erano state rimbeccate dal segretario generale della NATO, il norvegese Jens Stoltenberg: “La NATO non accetterà mai che la Crimea rimanga alla Russia”. Certo Stoltenberg ha precisato che scelte e decisioni spettano agli ucraini e in molti hanno gridato alla strumentalizzazione delle affermazioni del segretario generale della NATO ma il messaggio è risultato forte e chiaro per tutti: Kiev non sembra poter imbastire una propria autonoma linea di condotta negoziale, ormai “ostaggio” dell’Alleanza Atlantica e soprattutto degli USA, ormai chiaramente parte del conflitto.

Del resto il 13 maggio anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha affermato che “non accetteremo alcuna pace imposta all’Ucraina” aggiungendo che la pace sarà impossibile nel caso in cui la Russia annettesse una parte dei territori ucraini. Sempre l’11 maggio, sono emersi indizi di possibili contatti a livello riservato fra le due parti, per quanto appena abbozzati. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova ha detto che “i contatti sono in corso”, seguita dal portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, secondo cui “il processo dei negoziati continua senza mediatori in modo piuttosto lento e inefficace”. La diplomazia, è, in sostanza ridotta al lumicino, in questo momento, anche perchè l’Ucraina vuole constatare fino a che punto può tener testa ancora alla Russia grazie al supporto occidentale in armi e anche in informazioni, allo scopo di sedersi al tavolo solo quando avrà acquisito un peso negoziale stremando l’attaccante, perlomeno nelle sue speranze. Ma poiché anche i russi ragionano in modo speculare, volendo trarre il massimo profitto dalla loro superiorità in termini di massa e di resistenza sul lungo periodo, è intuibile che la carneficina proseguirà finché una delle due parti non potrà più nascondere i propri cedimenti. Il 3 maggio il presidente americano Joe Biden ha compiuto una visita alla fabbrica dei missili anticarro Javelin destinati all’Ucraina, lo stabilimento Lockheed-Martin a Troy, in Alabama, lasciando intendere quanto la guerra ucraina sia benefica per l’economia americana, l’occupazione e i profitti del complesso militare-industriale. E lo stesso giorno la CIA ha praticamente lanciato ai cittadini russi quasi un appello a tradire il proprio paese e a spiare per conto degli americani. Stando al New York Times, la maggiore agenzia americana d’intelligence ha postato su Youtube istruzioni in lingua russa che spiegano come “condividere informazioni” contattando la CIA in forma anonima e senza che i servizi del controspionaggio russo lo vengano a sapere, usando il dark web e connessioni VPN per aggirare la sorveglianza russa su internet. Fra i tanti avvertimenti russi agli americani, intanto, fra il 4 e il 5 maggio, si sono susseguiti, dapprima sulla TV russa richiami alla capacità delle forze nucleari di Mosca di spazzar via Berlino, Parigi e Londra nel giro di “200 secondi” con missili balistici, nonché la sommersione della Gran Bretagna con le ondate tsunami cagionabili dal siluro-drone termonucleare da 100 megatoni Status 6 Poseidon. E poi esercitazioni di lancio simulato di missili balistici Iskander nell’enclave di Kaliningrad, la base russa incuneata fra Polonia e Lituania. L’esercitazione simulava “un contrattacco”, contemplando anche un’ipotesi di attacco straniero alle basi di Kaliningrad di tipo atomico e/o chimico. In realtà gli Iskander-M di base a Kaliningrad, che pure possono essere dotati di una testata nucleare, hanno un raggio d’azione stimato in 480, forse 500 km, e potrebbero battere basi NATO in Polonia, ma non arrivare al resto d’Europa. A Kaliningrad, per quel che si sa, non sono dispiegati missili a più lunga gittata, sebbene siano di base anche unità della Marina (Flotta del Baltico) e dell’aviazione che possono portare altri ordigni nucleari. Esiste comunque una versione dell’Iskander, Iskander K, dove la K sta per Krylataya, “alata”, che lancia un missile da crociera di derivazione Kalibr, che i russi sostengono con gittata limitata a 480 km, ma potrebbe essere maggiore.

Affitti & Prestiti”: gli USA sono già in guerra?

Oltre all’opera di consiglieri e contractors americani, britannici e in genere occidentali, in Ucraina, ormai nota da mesi e ben presenti secondo indiscrezioni anche in prima linea (recentemente segnalati soprattutto nel settore di Kharkiv), un segnale di coinvolgimento sempre maggiore degli Stati Uniti nel conflitto si è avuto il 2 maggio, quando la testata americana “Politico” ha riportato che “nelle file ucraine sta combattendo un gruppo di volontari statunitensi con esperienza militare”, capeggiati da un certo Harrison Jozefowicz, reduce dell’esercito USA ed ex-poliziotto di Chicago. Il gruppo di Jozefowicz, come spiega il giornale, si chiama Task Force Yankee e sarebbe composto da “190 combattenti”. L’ex-poliziotto ha dichiarato a Politico che sarebbero “migliaia gli americani, e volontari di altri paesi” che lottano in Ucraina. E ciò parrebbe corroborare quanto fin dallo scorso 27 aprile aveva stabilito una commissione d’inchiesta russa, che stimava il peso straniero nelle file di Kiev in “16 gruppi armati con elementi provenienti da 50 paesi”. Nuovi segnali, con inquietanti richiami al passato, si sono avuti il 9 maggio. Lo stesso giorno in cui il presidente russo Vladimir Putin, alla tradizionale parata militare sulla Piazza Rossa di Mosca, collegava idealmente l’attuale battaglia per la “denazificazione” (secondo la narrazione russa) di una Ucraina filo-NATO all’eredità degli eroi sovietici della Seconda Guerra Mondiale, dall’altra parte dell’Atlantico anche l’America si richiamava al colossale conflitto che squassava il globo 80 anni fa.

Alla Casa Bianca, il presidente Joe Biden ha infatti firmato l’Ukraine Democracy Defense Lend-Lease Act of 2022, un decreto apertamente ispirato al Lend-Lease Act, o “Legge Affitti e Prestiti” firmata da Franklin Delano Roosevelt nel 1941, mesi prima dell’ingresso degli USA nel conflitto. Così come lo storico Lend Lease, favorendo la cessione di armamenti ai paesi alleati, fece degli Stati Uniti “l’arsenale delle democrazie”, allo stesso modo la legge attuale intende aumentare e snellire, le procedure per gli aiuti militari all’Ucraina, in primis, e anche ai paesi NATO dell’Est in aperta contrapposizione alla Russia. In verità ben sappiamo che anche durante il secondo conflitto mondiale la polarizzazione del confronto fra democrazie e dittature era un mito, dato che contro l’Asse, al fianco degli angloamericani, combatteva uno dei più noti esempi di totalitarismo di tutte le epoche, l’Unione Sovietica di Stalin, con tutto il suo corollario di purghe, fucilazioni e schiavitù di massa di milioni di internati. Dal 1941 al 1945 gli USA fornirono in tal modo armamenti ed equipaggiamenti, per un valore superiore ai 50 miliardi di dollari dell’epoca (equivalenti grossomodo a 690 miliardi di dollari al cambio del 2020) a britannici, sovietici e altri alleati. Per l’esattezza, il contributo maggiore andò ovviamente alla Gran Bretagna, con 31,4 miliardi di dollari, seguita al secondo posto proprio dall’URSS di Stalin, con 11,3 miliardi, dalla Francia Libera di De Gaulle con 3,2 miliardi, dalla Cina di Chiang Kai Shek con 1,6 miliardi e da altri paesi per 2,6 miliardi. La legge firmata da Biden esenta l’amministrazione USA da alcuni limiti relativi al prestito o affitto di armamenti che, teoricamente, dovrebbero essere restituiti agli USA alla fine del conflitto. Per esempio elimina un limite di 5 anni previsto per i prestiti di armamenti e consente al Dipartimento del Tesoro di ricevere più pagamenti dai paesi usufruttuari. La misura dovrebbe accelerare ancor più l’arrivo di armi americane al governo di Kiev, che ha già ricevuto da febbraio 4 miliardi di dollari di sistemi letali da parte dei soli Stati Uniti. Già ora, dall’ordine presidenziale per ogni singolo “pacchetto”

 di aiuti militari, come l’ultimo da 150 milioni di dollari, alla consegna agli ucraini passano, secondo Washington, in media appena 72 ore. E’ vero poi che vanno aggiunti gli eventuali tempi di addestramento, almeno per i sistemi più complessi, come missili e artiglierie, nonché quelli di trasporto dalla frontiera polacca fino ai fronti di combattimento, il che espone i sistemi d’arma ad attacchi aerei e missilistici russi che li distruggano prima che vengano utilizzati. Ma l’afflusso resta notevole, se si considera che per il solo intervallo dal 3 all’8 maggio sono stati stimati ben 100 voli cargo statunitensi e NATO atterrati nell’aeroporto militare polacco di Rzeszow carichi di armi e munizioni. Appena dopo la firma della nuova “Affitti e Prestiti”, il 10 maggio il segretario di Stato americano, Antony Blinken, e il suo collega alla Difesa, Lloyd Austin, hanno scritto una lettera congiunta al Congresso di Washington nella quale chiedono che i parlamentari approvino entro il 19 maggio un nuovo mega-pacchetto da quasi 40 miliardi di dollari in favore dell’Ucraina, che comprende assistenza militare, ma anche economica e umanitaria. Si tratta della richiesta che Biden aveva inizialmente formulato nei termini di 33 miliardi, poi elevati a 39,8. Hanno scritto: “Abbiamo bisogno del vostro aiuto. La capacità di attingere alle scorte del Dipartimento della Difesa è stato uno strumento fondamentale nei nostri sforzi per sostenere gli ucraini contro l’aggressione russa. Vi esortiamo ad esaminare rapidamente la richiesta dell’Amministrazione”. Blinken e Austin ( nella foto con il presidente ucraino) avevano fretta perché, degli stanziamenti precedenti, erano rimasti “in cassa”, per così dire, appena 100 milioni, sufficienti a sostenere lo sforzo bellico ucraino solo fino a fine maggio. Il giorno dopo, 11 maggio, già la Camera dei Rappresentanti del Congresso ha approvato, con 368 voti favorevoli e solo 57 contrari, questi ultimi tutti di esponenti repubblicani.

Seconda parte. Articolo estratto dalla Rivista:

Verso una “guerra per procura” in Ucraina? – Analisi Difesa

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