I BRICS SEMPRE DI PIU’… L’ITALIA SEMPRE MENO…

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La nuova ambita meta è Kazan, in Russia, dove si svolgerà il 22-24 ottobre prossimo il summit dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), l’Organizzazione di Scambio Commerciale alla cui adesione sembra siano interessati molti Paesi che l’Occidente definisce in via di sviluppo. Tra questi spicca la Turchia, membro della NATO, da anni rifiutata come membro della UE ma che svolge un’aggressiva politica interna industriale di sviluppo e una politica estera trivalente nei confronti dell’Occidente, di Russia e di Israele/Palestina. Nel famoso Rapporto[1] di Draghi sul possibile futuro sviluppo della UE, commissionato da Ursula von der Leyen, prima delle elezioni europee, curiosamente la parola BRICS non appare mai. Oramai nessuno nega che i Paesi UE si siano imbrigliati nella politica “mercatista” della Germania, basata sull’export (sia interna in UE che esterna), come di conseguenza, nella gabbia delle politiche dell’euro, che costringe a comprimere i Debiti per evitare la svalutazione e l’inflazione della moneta.

In realtà, tutte le proposte di riforme e di investimenti strategici del rapporto Draghi (concetti di buon senso e non politici) impattano con i relativi costi, che secondo Draghi, dovrebbero essere “centralizzati”, spendendo centinaia di miliardi di euro, da ottenere tramite l’emissione di Eurobond (povero Tremonti e la sua idea, logica ma troppo precorrente i tempi). Sembra ovvio che tutti questi Eurobond debbano essere sottoscritti e comprati dalla Banca Centrale Europea, che ovviamente stamperebbe moneta in contropartita. Anche perché nessuna Banca della UE è nel novero delle prime 10 banche mondiali, quindi nessuna ha una capacità finanziaria per sottoscrivere contratti rilevanti. Questa, in economia, si chiama “monetizzazione del debito” che è tipica di Paesi autoritari, dove la Banca Centrale prima compra i Bond dal Governo e poi li rifila alle altre Banche locali. Niente di strano, perché così il Governo Centrale mantiene il controllo delle politiche industriali e monetarie e soprattutto riesce a controllare (in parte) il cambio della valuta.

L’esempio è la Cina, dove il Debito supera il 260% del PIL, ma lo yuan è controllato. Anche il Giappone, economia liberista, la Bank of Japan compra tutti i Bond del Governo e poi a cascata li rivende all’interno del Paese, a Banche e risparmiatori.

Vi è anche il vantaggio che, se quasi tutti i Bond sono acquistati da soggetti nazionali (privati e banche) non c’è il rischio di un default (cigno nero) per un contagio proveniente dall’estero.  E questo Draghi lo sa. Ovviamente le proposte del Rapporto non saranno mai realizzate, per vari motivi, ossia la rivalità economico politica fra gli Stati della UE, l’ostinazione della Germania, la poca concretezza dei Politici di una UE a 27 Paesi, dei quali alcuni con il PIL nazionale inferiore a quello della provincia di Bergamo ma con pari diritto di voto degli altri.

Tornando ai BRICS [2], c’è una notizia internazionale: un forte acquisto di soia brasiliana da parte della Cina. Lo scambio è avvenuto nelle valute locali, Yuan contro Rial, tra le Banche nazionali. Finora il trading delle derrate internazionali (insieme a futures, derivati, etc) si svolgeva a Chicago alla CBOE (Chicago Boards of Exchange) ed era svolto in Dollari USA.

La notizia ha avuto forte impatto negli USA (non da noi), perché segna l’inizio del declino del controllo del dollaro negli scambi internazionali. Le strategie dei BRICS inducono il candidato Donald Trump, a nuovi programmi per recuperare il dollaro come valuta di riserva mondiale e fermarne il declino, sia inflativo che commerciale. Potrebbe verificarsi in futuro che l’Occidente, quando importasse cacao, soia, grano, caffè, di dover pagare non in dollari ma nelle valute dei Paesi esportatori. Non pensiamo all’Euro, come possibilità, perché a livello internazionale è percepito non come un sostituto, ma come un derivato del dollaro.

Il sito www.politicamentecorretto.com così commenta il prossimo vertice dei BRICS:

Nonostante l’ostilità manifesta e crescente di un certo mondo occidentale nei confronti dei BRICS, le candidature e le adesioni da parte dei più svariati paesi stanno aumentando. Non crediamo che tutti siano ‘in guerra’ con il cosiddetto occidente. Ciò dovrebbe far riflettere senza pregiudizio alcuno. Una spiegazione, intelligente quanto preoccupante, la fornisce il Washington Post che, in un recente articolo, riporta che gli Usa hanno messo un terzo del mondo sotto sanzioni. Non solo, ma ben il 60% di tutti i Paesi a basso reddito. Oggi più di 15.000 sanzioni economiche sono operative!

Guerre e conseguenze[3]

Corrono voci che oramai alla Casa Bianca comandino solo tre persone, il segretario Blinken, il Consigliere Jake Sullivan e la moglie di Biden, il cui il marito è spesso ritirato a casa per i problemi di salute.  Ma è arrivato un quarto pezzo forte, il Pentagono con il Segretario alla Difesa, a ridimensionare i due “falchi” antirussi, Blinken e Sullivan.  Nessun militare USA vorrebbe andar verso uno scontro diretto con la Russia e l’Iran. L’intervento duro del Pentagono ha fermato l’uso dei missili a lunga gittata da parte degli ucraini. Si dice che vi sia una linea diretta fra Pentagono e Difesa Russa, come pure pare verso l’Iran e i militari di Israele. E questo farebbe abbastanza sperare in qualche futura soluzione di compromesso. Oggi l’opinione pubblica americana è stufa di queste guerre sovvenzionate all’estero e pensa solo ai problemi interni, abbastanza gravi. Chiunque sarà il nuovo Presidente, probabilmente ridurrà gli impegni americani nel mondo, per convenienza economica e politica interna: non si possono buttare miliardi di dollari in armamenti e poi annunciare solo 750 $ di sussidio a testa per gli alluvionati che hanno perso la casa e tutto il resto nel recente uragano Helene in Florida e altri 4 Stati del Sud, che ha causato varie decine di morti.

In questo scenario mondiale si nota l’irrilevanza dell’Unione Europea, anche di fronte al nuovo blocco militare politico anglosassone dei Five Eyes (USA, UK, Australia, Canada e Nuova Zelanda).  In Europa, molti dei commentatori politici che nel 2022 assicuravano il prossimo crollo della Russia, oggi gridano che l’Armata russa potrebbe arrivare a Lisbona, e incitano tutti al riarmo della UE. Però, tutti gli Stati UE[4] viaggiano con pesanti Debiti Pubblici (come anche gli USA) e quindi mancano i soldi e anche la volontà di fare investimenti militari.

Gli scenari per l’Italia

Sembra che in questo scenario di continua “Grande Guerra“ con focolai che si aprono e chiudono, l’impegno dell’Italia dovrebbe essere nel Mediterraneo, magari con una responsabilità di controllo e mediazione degli scenari balcanici (Serbia, Kosovo) e medio orientali (Libano, Egitto e Mar Rosso ) e poi una mediazione con la Libia, oramai occupata da militari Turchi e Russi e la Tunisia; nel centro Africa, come nel  Niger, i militari Francesi e Americani sono stati cacciati via. Forse, nel 2025, dopo il previsto ritiro completo degli Americani dall’Iraq, considerando l’odio che la popolazione locale ha per gli anglosassoni, l’Italia potrebbe essere favorita in quel Paese. Una volta si diceva che i Governi Democristiani/ Socialisti/Berlusconiani erano come un marito con moglie americana, ma con l’amante in Medio Oriente. Che sia il nuovo Piano Mattei del Governo?

Fabrizio Gonni

Laurea in Ingegneria, MBA Economia Aziendale. Componente ISPG Istituto Studi Politici Giorgio Galli, mail: gonni@istitutostudipolitici.it


[1] In un precedente articolo avevamo già parlato del Rapporto Draghi e ai risvolti politici. I contenuti sono composti con proposte di buon senso, oltre che una critica al comportamento dei Paesi della UE in questi ultimi 10-15 anni.

[2] La grande svolta finanziaria: USA, UK ,UE. Divorzio a tre. Roberto Mazzoni

https://youtu.be/D9U0bx89bi0?feature=shared

[3] Introduzione di Lucio Caracciolo, festival di Limes, Come l’Impero USA si è espanso dopo la WW2 https://youtu.be/El3rjV17K9o?si=siXkFQnvoWpzk4U3

[4] È vero che la Russia ha un PIL circa pari a quello dell’Italia, ma va considerata la struttura del PIL; ad esempio, se sul PIL totale del Paese A, diciamo di 2600 miliardi, 300 miliardi provengono dai servizi (ristoranti, bar, aperitivi, spiagge, parrucchieri per signore, etc..) e nell’altro Paese B gli stessi 300 miliardi provengono dalla industria pesante e meccanica, la struttura e la potenza industriale dei due Paesi sono diverse. E questo conta.

 

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