Uno strumento[1] nuovo come la IA non serve solo a fare più agevolmente “cose vecchie”. Penso al mondo della scuola, a W. Kenneth Richmond e al suo libro “La rivoluzione nell’insegnamento“, sottotitolo chiarificatore ‘Dall’impulso tecnologico a una nuova pedagogia’ alludendo al ricorrente fenomeno della comparsa in campo didattico di nuove strumentazioni tecnologiche di cui non si capisce l’effettiva portata innovativa, dove usa un’efficace metafora: “la sindrome della carrozza senza cavalli“. Nelle prime automobili la gente vide solo delle carrozze senza cavalli, e così ribattezzò lo ‘strumento nuovo’ con il nome di uno ‘strumento vecchio’, evidenziando ciò di cui era privo piuttosto che quello che di nuovo aveva. A ben vedere la ‘sindrome della carrozza’ toccò anche alla denominazione di quello che chiamiamo computer[2]. Coloro che acquisiscono le migliori competenze in un qualsiasi campo tecnologico esercitano un potere che i meno competenti non hanno, e quindi subiscono. La cosiddetta IA “Intelligenza artificiale” è la nuova arena di confronto fra coloro che ancora non sanno di che si tratti e coloro che già da tempo e sempre più largamente ne fanno uso. Alla metafora di Richmond ne proporrei quindi in aggiunta un’altra: anni fa mi trovai a girare in taxi nel traffico caotico di Napoli, dove pareva che i sensi di marcia fossero tutti permessi e i semafori non vietassero niente a nessuno. Alle mie garbate osservazioni sulla guida creativa dell’autista, lo stesso altrettanto garbatamente replicò: “Signo’, accà chi prima si sveglia comanda“. Quella risposta mi pare buona anche in materia di Intelligenza artificiale. In un dibattito in videoconferenza sul tema, una professoressa di scuola secondaria espone la sua esperienza in materia e racconta il suo primo casuale “incontro” con l’intelligenza artificiale. Impegnata a sostenere un allievo nel suo percorso verso la maturità, aiuta lo stesso a orientarsi nell’elaborazione di un saggio dal titolo ben definito. Lo guida quindi a individuare ed annotare, anzitutto, una sequenza logica o “scaletta” di argomenti e relativi sviluppi in previsione di una conclusione congruente con il tema e il suo svolgimento. Ma l’allievo ad un certo punto la interrompe e le propone: “Perché non proviamo a elaborare il saggio con l’intelligenza artificiale? Possiamo usare ‘Chat.GPT“. La professoressa non si lascia spiazzare dalla proposta e risponde: “Proviamo“. L’alunno va sul Pc e imposta i dati che la procedura richiede: argomento, titolo, finalità, fino al numero di righe della lunghezza del testo. Pronti? Via. Una volta attivato Chat.GPT sforna il lavoro finito in breve tempo. La prof. legge e lo trova completo, corretto, perfetto nella forma e nei contenuti. Eccellente. Si chiede però che cosa potrebbe succedere in una classe in cui tutti gli allievi per lo stesso saggio si avvalessero di Chat.GPT. Ne sortirebbero 25 svolgimenti identici? Non resta che provare. Viene reimpostato sul programma lo stesso saggio, con lo stesso titolo e le stesse caratteristiche. Risultato: un altro ottimo svolgimento, coerente con il tema, ma diverso nell’esposizione. Altrettanto tecnicamente valido quanto il primo. Resta da fare un terzo tentativo per appurare questa varietà espositiva che lo strumento è in grado di fornire con lo stesso ineccepibile risultato sullo stesso tema. L’esito conferma quanto atteso: uno svolgimento diverso ma coerente con l’argomento. A questo punto gli interrogativi sull’uso dell’Intelligenza Artificiale a scuola più che trovare una risposta aprono una serie infinita di interrogativi. L’allievo impara in rapporto all’impegno personale che ha profuso nell’elaborazione meditata dell’argomento, nelle ricerche necessarie attivate per documentarsi, nella correlazione degli argomenti e nelle conclusioni cui giunge e nell’efficacia comunicativa con cui le espone. Viceversa, con Chat.GPT, nemmeno è in grado di chiarire la scelta delle argomentazioni e la logica delle conclusioni. Non ha fatto lavorare il cervello[3]. Non vuole essere un giudizio da incompetenti sull’intelligenza artificiale, è solo un segnale su cui riflettere, non dimenticando ciò che lo stesso Elon Musk affermò e con cognizione di causa, si presume: “L’intelligenza Artificiale è un rischio per l’umanità“. Gli interrogativi sono tutti aperti.
Vittorio Zedda
Dirigente scolastico in pensione, è stato il Fondatore e primo Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Dirigenti scolastici
Definizioni:
Intelligenza = vuol dire capacità di apprendere, riconoscere e decidere
Artificiale = fatta dall’uomo
[1] Come sempre i nuovi strumenti che l’ingegno riesce a creare cambiano la vita degli umani. Il cambiamento è buono o cattivo secondo l’uso che si fa dei nuovi strumenti. La loro potenzialità viene commisurata all’inizio dall’aiuto e dalla velocità con cui ogni nuovo strumento consente di operare. La riduzione dei tempi e l’aumentando della qualità, della precisione e della produttività di un processo lavorativo che prima richiedeva tanto impegno, spese, tempo e fatica emergono di prim’acchito come chiari indicatori di successo del nuovo strumento.
[2] Calcolatore: un complesso congegno che non è solo un calcolatore bensì un elaboratore elettronico multimediale e multifunzionale con infinite modalità d’impiego. Curiosamente dei nuovi strumenti tecnologici la gente non saprebbe che farsene fino a quando non li prova. E dopo averli provati si lascia guidare affascinata dagli imprevisti percorsi che il nuovo strumento apre di fronte ai loro occhi, prima ancora di utilizzarli per effettive e concrete esigenze. In un ciclico alternarsi di tecnologia che coinvolge gli uomini e di uomini che ‘cavalcano’ la tecnologia e continuamente la trasformano.
[3] In un caso del genere ‘la carrozza è senza cavalli’, ma ha somari al seguito e l’ottundimento mentale ne pare la conseguenza.. Orbene questa è grosso modo la cronaca di un primo impatto con l’Intelligenza Artificiale a scuola. Ha i limiti ma anche l’utilità di un episodio ben circoscritto e definito.