Con il 2022 alle spalle, anno di perdite eccezionali per i mercati azionari – e obbligazionari – i frastornati risparmiatori cercano indicazioni sul 2023. C’è chi si rivolge ai maghi della finanza e chi agli indovini, a caccia di qualcuno che possa guardare il prossimo futuro, magari in una sfera di cristallo o in un giro di tarocchi. A questo punto, tra gli uni e gli altri c’è spazio anche per me, visto che tanti parlano a ruota libera, posso provarci a tracciare un ragionamento che spero possa essere utile ai lettori di Civica. Morgan Stanley prevede che lo SP500 (1) termini a fine 2023 a 3.900 punti, con una crescita di solo l‘1,6%. Goldman Sachs è più ottimista e azzarda i 4000 punti. Poi arriva JP Morgan, che si sbilancia a 4200 punti. Alla fine arriva il quarto cavaliere, Wells Fargo che tranquillamente conferma una previsione da 4300 a 4500. Poiché il SP500 ha chiuso il 2022 a 3839 punti, tutte le previsioni sono di crescita, da un 1,6% fino al 17,2 %.
Poi arrivano i maghi più pomposi: il Hirsch & Mistal 2023 Stock Trader’s Almanac dice che negli ultimi 47 anni nei quali si è avuto un rialzo nei primi 5 giorni dell’anno, nell’83% dei casi, a fine anno si è avuta una crescita di guadagni media del 14%. Il 3 gennaio lo SP500 ha chiuso a 3821, in ribasso dal 30 dicembre, e al 6 gennaio, la befana ha portato i 3895 punti, poco più dei 3839 di fine 2022. Vedremo cosa succede nei prossimi giorni. Un articolo di Bloomberg afferma che “due anni di recessione continui sono rari sul mercato americano“ certo, ma se per caso anche il 2023 dovesse chiudersi con perdite a Wall Street, forse queste sarebbero ancora più gravi, e sarebbe un disastro per il mondo finanziario e i risparmiatori. Ora che abbiamo visto le congetture e le previsioni dei maghi della finanza, vediamo alcuni fatti e dati. Anche con inflazione alta e alti tassi di interesse imposti dalla FED, gli analisti di VectorVest dicono che i prezzi delle azioni sono alti rispetto al reale valore dei titoli. In media il SP500 è sopravalutato del 21% e il Nasdaq 100 del 28%. Un parametro importante è il Yield Premium, ovvero il rapporto fra il tasso del denaro – o dei Treasury, imposto dalla FED e gli utili – in percentuale, ovvero lo Earning Yield. Come esempio se un’azienda guadagna l’8% e il costo del denaro è il 2%, lo Yield Premium è 8/2 = 4. Se la FED fa salire il tasso al 5%, allora lo Yield Premium è 8/5 = 1,6. Gli investitori comprano le azioni quando lo Yield Premium è alto e vendono quando è basso, preferendo i titoli a reddito fisso, Bond e Titoli di Stato. Il dilemma si pone quando un’azienda guadagna il 4% e vi sono sul mercato i Bond a reddito fisso al 4%. Allora cosa fa preferire l’investimento in azioni? In primis l’indice EG, Earning Growth, la crescita degli utili, non è detto che restino sempre al 4%, ma si prevede che crescano nel corso dei prossimi anni. Poi vi sono le SPS, Sales per Share, le vendite per azione. Se si prevede che le vendite aumentino, vuol dire che il business va bene, e forse le azioni sono meglio dei titoli. Però, ahimè, a fine 2022, il Yield Premium generale, di tutte le 9000 azioni quotate in America, è solo dello 0,16%. Essendo un dato mediato, vuol dire che ci sono molte aziende che guadagnano bene, ma altre che vanno così così. Si può pensare che le crescite e decrescite dei valori si borsa saranno selettive, alcuni valori saliranno, altri scenderanno. Pare che l’inflazione tendenziale negli USA sia in decrescita, da sopra l’8% sarebbe in discesa al 7,8%. Però la FED non sente ragioni, la sua posizione è che vorrebbe continuare ad alzare il tasso di interesse fino al 5% e mantenerlo fisso per un periodo sufficiente a raffreddare l’inflazione. Altri commentatori – della destra repubblicana – dicono che l’inflazione è causata anche dai miliardi di dollari a pioggia spesi dal presidente Biden per il welfare, in particolare per gli immigrati latinos che oramai sono alloggiati in capannoni negli Stati del Sud, o vagano per le strade della California (possono ricevere un “reddito di welfare” dal Governo federale, secondo le composizioni famigliari, si parla di importi che possono arrivare attorno a 1700 $ al mese). Invece i tanti miliardi stanziati per le armi destinate all’Ucraina, come ovvio, sono stanziati per ordini destinati all’industria bellica americana, quindi fanno lavorare tecnici, operai e impiegati e pertanto restano nel giro industriale interno USA. Tutti questi dollari sono in circolo, i prezzi salgono a macchia di leopardo e l’inflazione sale e poi scende di poco, perché la gente compra meno. Naturalmente i tassi alti si ripercuotono sui tassi dei Treasury bond di Stato e aumentano le spese per interessi nel Bilancio Federale. Inoltre, tornando a Wall Street, il parametro ETI, Earning Trend Indicator, che misura la crescita o decrescita degli utili del SP500 ha perso lo 0,01 ed è a 1,04. Se dovesse scendere ancora, si avrebbe il caso di un mercato in ribasso, nel quale utili e inflazione scendono ma i tassi di interesse salgono. Con tutto questo scenario, potrebbe essere anche che il dollaro si svaluti, ma rispetto a chi? Non sembra che l’Euro, a guida Lagarde e Ursula von der Leyen, sia messo molto meglio.
Fabrizio C. Gonni
Laurea in Ingegneria, MBA Economia Aziendale.
Componente ISPG Istituto Studi Politici Giorgio Galli
1) SP500 – Lo Standard & Poor’s 500 è il più importante indice azionario nordamericano. Sebbene storicamente siano nati prima gli indici Dow Jones, questo paniere ha assunto con il tempo maggiore importanza presso gli investitori. È infatti il principale benchmark azionario relativo ai titoli quotati a Wall Street ed è il sottostante per un incredibilmente ampio ventaglio di prodotti derivati, quali futures, opzioni e certificates. Questo paniere, creato da Standard & Poor’s (dall’aprile 2016 una divisione di S&P Global), viene calcolato dal 4 marzo 1957 grazie alle funzionalità di calcolo avanzate e complesse possibili con i progressi nel campo dell’elettronica. Prima del 1957, quando ancora non c’erano i computer, infatti, l’indice di S&P conteneva solamente 90 titoli.
Requisiti di appartenenza: Lo S&P 500 contiene 500 titoli azionari di altrettante società quotate a New York (NYSE e Nasdaq), rappresentative dell’80% circa della capitalizzazione di mercato, che vengono selezionate da un apposito comitato. In realtà i titoli in paniere sono 505 poichè per 5 società vengono quotate due tipologie di azioni. Tutti i titoli in questione sono relativi ad aziende statunitensi con una capitalizzazione di mercato superiore a 6,1 miliardi di dollari, un flottante del 50% almeno, un volume di scambi mensili, negli ultimi 6 mesi, non inferiore a 250.000 azioni ed un valore medio annuale del titolo, superiore a 1,0 dollaro. Le società in questione devono inoltre presentare un utile di bilancio nei 4 precedenti trimestri, inteso come somma totale. Sebbene la maggior parte di questi titoli siano relativi ad aziende statunitensi, il criterio geografico non è comunque una discriminante.
Tratto da: https://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/sp500.htm
Ottima analisi Fabrizio e , se mi dai conferma , mi par di capire che la soluzioe migliore per far rientrare i valori della borsa e dell inflazione , sarebbe quella di far finire la guerra riconoscendo a Putin dei nuovi confini e zittire il Zelensky . Con il nuovo speaker del Congresso e il sentiment americano verso Trump e De Santis probabilmente si potrebbe risalire la china . Grazie .guido
Mah , secondo me il punto è l’inflazione . E i tassi della Fed . La guerra è sentita poco negli Usa . Per loro ha lo stesso impatto di una guerra fra Etiopia e Eritrea per noi . Sentono molto il costo dell’energia . Poi oramai gli Usa sono divisi tra Rep e Dem . Venti di quasi secessione ( fra 10 anni )
Gli Usa sanno benissimo che Zelensky è in bancarotta. Gli hanno dato 32 miliardi di $ per pagare la gente. Sanno che si rivende le armi. La soluzione è fargli vendere qualunque cosa funzioni alle finanziarie Usa, tipo Blackrock, che si è gia mossa. Il punto è come la mette con gli oligarchi ukraini, che vorranno fissare il prezzo di cessione…