In questi giorni, tra i palazzi romani, gira sempre voce di un Mario Draghi Presidente della Repubblica e di un suo ministro promosso premier a Palazzo Chigi. Una soluzione che lascia il manico del mestolo nelle mani di Draghi. In questo modo l’Europa e i mercati finanziari sarebbero garantiti.
L’accentuazione del ruolo sarà rafforzata: si va verso un Presidente della Repubblica che raccoglie caratteristiche e spazi di potere compositi, un mix di Cossiga, Napolitano e Segni. Un ‘arbitro’ che può giocare la partita insieme con i giocatori. Pochi anni fa Napolitano, era l’8 aprile del 2014, aveva autorizzato Renzi a presentare il suo progetto di riforma Costituzionale che si è rivelata una ‘deforma’, poi bocciata dagli elettori, comportando un enorme dispendio di energie e risorse pubbliche. Un fatto grave, poteva suggerire che lo presentassero i capigruppo dei partiti di maggioranza; due anni prima aveva imposto Mario Monti al Parlamento, subito dopo ha installato Enrico Letta come Presidente del Consiglio. Letta crea una Commissione di esperti per cambiare parti essenziali della Costituzione. Tuttavia, Monti formando un suo partito in un certo senso ha reso un omaggio postumo al Parlamento. La nomina di Letta invece di Bersani, dello stesso partito, il PD, ha significato che il Presidente in carica si è intromesso nella vita interna di un partito. Presidente poi sconfessato dal golpe di Renzi nominato il 22 febbraio 2014, che resterà famoso per la legge elettorale n. 52/2015, dichiarata incostituzionale per iniziativa degli avvocati anti-Italikum.
Mattarella sulla riforma costituzionale di riduzione del Parlamento, nata come iniziativa parlamentare, ma non ha fatto nulla per impedirne o almeno ritardarne l’approvazione. Anzi, l’ha facilitata, con qualche disinvoltura costituzionale, consentendo l’election day su 2 giorni, quando la legge non modificata sul referendum costituzionale prevedeva un solo giorno. Infine l’ha promulgata in tutta fretta, invece di rispedirla alle Camere con un messaggio motivato almeno su un punto, inserito di soppiatto come emendamento al testo base: i senatori assegnati al Trentino e all’AltoAdige-Sudtirolo. Quell’emendamento violava palesemente l’art. 57 Cost. sull’elezione a base regionale del Senato e non provinciale, ma soprattutto era violazione del diritto costituzionale fondamentale di eguaglianza dei cittadini. L’uguaglianza dei cittadini è uno dei principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, che non può essere leso neppure con norma di rango costituzionale, come affermato con nettezza dalla sentenza della Corte cost. n. 1146/1988.
Il Trentino-A.A.-Sudtirolo con 1.029.000 abitanti avrà 6 Senatori, lo stesso numero della Calabria con 1.959.000 abitanti: I calabresi valgono la metà dei trentin-sudtirolesi, come valgono meno dei trentin-sudtirolesi i ben più numerosi sardi, liguri, marchigiani, friulan-giuliani e abruzzesi, che prima del taglio avevano lo stesso numero o superiore di senatori.
Avere un presidenzialismo di fatto, anzi un semi-presidenzialismo, è peggio di un presidenzialismo come forma di governo, perché sono del tutto assenti i meccanismi di controllo e bilanciamento.
Ci sono in Europa ordinamenti con elezione diretta del Capo dello Stato, che non son né presidenziali, né semi presidenziali, ma parlamentari, per esempio Austria, Finlandia, Irlanda e Islanda, con Partiti forti e senza confusione di ruoli al vertice dello Stato: non è un caso che nessun Presidente del Consiglio in carica sia mai stato preso in considerazione in 12 elezioni presidenziali.
Se le nostre elezioni presidenziali fossero come quelle tedesche con candidati conosciuti prima della votazione e che hanno preventivamente accettato di essere candidati difficilmente ci sarebbe questo entusiasmo per l’elezione diretta. Il prossimo presidente, il 13°, sarà il frutto di accordi tra congreghe, consorterie e camarille, ed anche, si teme, di voti compravenduti. Quest’elezione è l’ultima occasione per 500 parlamentari che non saranno rieletti. Soltanto il fatto che sia teoricamente possibile una candidatura Berlusconi, è il segno di un degrado delle nostre istituzioni, ma il centro-destra con Italia Viva ha la maggioranza relativa nell’assemblea presidenziale. In questi anni in tanti abbiamo difeso la centralità del Parlamento, ma è la sua composizione di nominati, non scelti dagli elettori, che rende la lotta per mantenere la forma di governo parlamentare non popolare, e non sostenuta dai parlamentari in carica: a loro basta arrivare alla fine non anticipata di questa legislatura. Ci hanno ‘rubato’ il diritto di eleggere, cioè di scegliere deputati e senatori, dal 2005 e non ce l’hanno più restituito. Cerchiamo di non perdere questa battaglia, che non può essere fatta contro il popolo o anche senza il popolo.
Felice Carlo Besostri*
*avvocato, costituzionalista