Agosto 1946: la più grave strage di civili della Repubblica italiana. Morti quasi ignorati dopo 78 anni

| |

Domenica 18 agosto 1946 alle ore 14,15 circa sulla spiaggia denominata Vergarolla, situata nella parte sud della baia del porto della città di Pola in Istria delle mine, ventotto residuati bellici, esplodono in spiaggia, in prossimità di una folla di bagnanti richiamati dalle gare di nuoto della competizione a livello nazionale “Coppa Scarioni”.

La competizione natatoria era stata organizzata presso quella spiaggia dalla società di canottaggio e velica “Pietas Julia”, quale celebrazione del 60° anno dalla propria fondazione; tale società fin dalla fondazione nel 1886, quindi anche sotto il governo asburgico fino al 1918, aveva avuto spiccate caratteristiche patriottiche italiane. L’esplosione simultanea degli ordigni sulla spiaggia provoca una carneficina, con annientamento di alcuni corpi, smembramento di altri corpi e proiezione di parti umane nella adiacente pineta e nel mare antistante la spiaggia, dove gabbiani e pesci corrono a cibarsi. La vibrazione del terreno ed il rumore provocati dall’esplosione raggiungono Pola, distante 2,2 chilometri, ed i paesi dei dintorni, rompendo i vetri delle finestre e allarmando la popolazione ed il Comando Militare inglese, che dal giugno 1945 governa la città. Dopo il lampo della deflagrazione si innalza un pennacchio di fumo molto alto, visibile a grande distanza.

I residuati bellici contenevano un totale di circa nove tonnellate di tritolo, secondo una stima dell’epoca. Il rumore, il tremore del terreno e la colonna di fumo provocati dalla deflagrazione vengono percepiti in tutta la città e nei dintorni. Ben presto affluiscono verso la spiaggia di Vergarolla autoambulanze, autocarri militari e mezzi vari con soldati, polizia e vigili del fuoco. I presenti scampati all’esplosione fuggono in preda a shock oppure cercano disperatamente i parenti che si trovavano con loro, raccolgono i feriti e le membra, invocano soccorso. Gli automezzi trasportano morti e feriti all’Ospedale Civile Santorio di Pola. Là è di servizio il medico chirurgo Geppino Micheletti che inizia ad operare i feriti più gravi e fa una stima dei corpi, alcuni ormai inanimati, e delle membra che via via vengono scaricati nei locali e nei corridoi del pronto soccorso. Successivamente egli viene aiutato da un chirurgo militare inglese e via via da vari colleghi medici di Pola che raggiungono l’Ospedale. Durante la fase operatoria il dott. Micheletti viene informato della morte dei suoi due unici figli, Carlo di 9 anni e Renzo di 6 anni, del fratello Alberto e della cognata Caterina Maresi in Micheletti. Il chirurgo ha un mancamento momentaneo, ma subito riprende ad operare per molte ore consecutive e ritorna al lavoro il giorno successivo, fino al limite della resistenza. La stima del dott. Micheletti riporta un totale di 116 morti, mentre un successivo comunicato ufficiale del prof. Carravetta, Primario della Divisione Chirurgica, quella domenica fuori servizio per una licenza, parla di 110 morti. Del figlioletto Renzo non verrà più trovato il corpo, ma soltanto una scarpina. Questo fatto ed il reperimento di parti umane isolate quali teste, mani, gambe, dita fa presumere che altri corpi, molto vicini al punto dell’esplosione, possano essere stati distrutti quasi completamente. Vengono contati, secondo le fonti, da 25 a 54 feriti gravi o di media gravità ospedalizzati e un numero simile di feriti leggeri non ospedalizzati. Dopo lunghi confronti e indagini sui nomi, si ha la certezza che le salme identificate con nomi e cognomi esatti sono 64, per gli altri morti, i cui resti sono sepolti in casse comuni e tombe comuni, non si hanno le generalità. Il Procuratore di Stato a Pola ed il Comando di Polizia iniziano indagini tecniche e interrogatori dei feriti, ma la loro azione viene interrotta dal Comando Militare inglese, che avoca a sé ogni indagine ed in breve rilascia una dichiarazione in cui l’esplosione viene definita “non accidentale”, ossia provocata dall’intervento esterno di una o più persone. Altre indagini vengono svolte dai servizi segreti italiani, ma se ne hanno scarse notizie a distanza di decenni. Nessuna denuncia alla Magistratura italiana o richiesta formale di indagine risulta essere stata fatta da singoli cittadini o da organizzazioni, sino ad oggi.

Nell’immediatezza dell’esplosione, dei soccorsi, dei funerali, nessun organo di informazione parla di attentato. Con il passare dei giorni e con la dichiarazione della Commissione inglese di indagine che definisce l’esplosione ‘non accidentalela popolazione di Pola, per la massima parte italiana, inizia a sospettare che si sia trattato di un attentato ordito dai servizi segreti jugoslavi OZNA, poi denominata UDBA. Il sospetto prende sempre più corpo e viene alimentato da alcune testimonianze di sopravvissuti, fino a che la popolazione giunge alla conclusione che l’esplosione sia stata un preciso e terrificante segnale per la sottomissione dei residenti italiani alle autorità jugoslave, oppure per il loro esodo nel resto dell’Italia o altrove.

La Strage ha spinto definitivamente la popolazione di Pola e del resto dell’Istria all’esodo in massa, dopo la ancor più vasta diffusione del terrore operata con gli infoibamenti di massa del 1943 e del 1945, le sparizioni, le torture, le fucilazioni e le deportazioni senza ritorno. Il massacro di Vergarolla si configura come la più sanguinosa strage nella storia della Repubblica Italiana. Tuttavia, è totalmente ignorata nei libri di testo di scuole e università.

 Tito Sidari, ingegnere, esule da Pola

Note:

– Tra il 2 e il 3 maggio 1945 Pola viene occupata dall’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo e dalle forze partigiane jugoslave, che prendono possesso di edifici pubblici e privati. Gli infoibamenti e le deportazioni senza ritorno, già attuati nel 1943, ricominciano. A giugno, le Forze Armate Anglo-americane prendono possesso della città di Pola e delle sue immediate vicinanze. Trieste, una piccola zona circostante e la “Enclave di Pola” costituiscono la “Zona A del 1945”, da non confondersi con la “Zona A del 1947”, la quale riguarda solo il cosiddetto Territorio Libero di Trieste.

-Tra luglio 1945 e il settembre 1947, per oltre due anni, l’ “Enclave di Pola” viene governata da un Comando Militare anglo-americano con comandanti inglesi. Prima dell’esplosione di Vergarolla si verificano due potentissime esplosioni di polveriere nelle vicinanze della città; il Comando Militare viene accusato dalle autorità civili di non presidiare sufficientemente i vari depositi di esplosivi

– Sono disponibili numerosi testi, relazioni, saggi e articoli di stampa che trattano l’argomento. Un testo molto ampio, pubblicato dalla “Associazione Italiani di Pola e Istria – Libero Comune di Pola in Esilio” nel 2015 è “La Strage di Vergarolla secondo i giornali giuliani dell’epoca e le acquisizioni successive”, scritto dal giornalista Paolo Radivo di Trieste, che inquadra ampiamente l’argomento e le testimonianze. Il periodico “L’Arena di Pola”, in attività ininterrottamente dal 29 luglio 1945 ad oggi, ha pubblicato nei decenni numerosi articoli su tale tragedia; essi sono reperibili per il periodo 1945-1948 in volumi con riproduzione anastatica; per il periodo dal 1949 al 2009 sui siti dell’Arena di Pola. Alcuni pochi testimoni dell’evento sono tuttora in vita e portano la loro testimonianza nelle Istituzioni e nelle Scuole, in occasione di conferenze e lezioni sulle vicende del Confine orientale.

Fra i testimoni più frequentemente ascoltati vanno citati in particolare, per precisione e completezza: Lino Vivoda, nato a Pola nel 1931, esule da Pola dal 1947, ma purtroppo scomparso il 4 luglio 2022. Impegnato sin da giovane nelle organizzazioni degli esuli giuliani, fiumani e dalmati, ha il fratello Sergio, di 8 anni, ucciso nell’esplosione e per lunghi anni cerca di individuare i responsabili della strage; Claudio Bronzin, nato a Pola nel 1935, esule da Pola dal 1947, residente a Firenze; presente sul luogo e salvatosi, ha numerosi famigliari straziati dall’esplosione: Francesca Bronzin, morta; Rosmunda Bronzin in Trani, gravemente ferita; Mario Trani, ferito; Gina Venier, ferita. Fra le testimonianze dirette più significative, si ricordano: Rosmunda Bronzin in Trani (adulta, all’epoca): nella pineta adiacente la spiaggia individua un uomo che ha già visto in città nei giorni precedenti, vestito con abito completo grigio, inadatto alla spiaggia, il quale stende un filo lungo su un sentiero e ne annoda alcune parti con la manovra tipica di chi unisce due fili elettrici. Tale personaggio viene poi identificato come il partigiano jugoslavo di Fiume, sepolto a Fiume; non si hanno certezze su tale identificazione. Claudio Bronzin (11 anni, all’epoca): si trova poco lontano dalla folla e ode un colpo secco circa un secondo prima dell’esplosione; tale colpo secco è tipico della azione di un detonatore per esplosivi, comandato a distanza. Giuseppe Nider (Bepi Nider; adulto all’epoca), ex-partigiano italiano, poi giornalista e scrittore: alcuni giorni dopo l’esplosione accompagna un ufficiale inglese in ispezione sul luogo della carneficina ed insieme a lui individua, abbandonati in una radura, apparecchi per il comando a distanza di esplosivi, come quelli in uso nelle miniere; fa rilevare che il Comando della polizia segreta jugoslava (OZNA) per la zona di Pola si trova ad Albona, in prossimità delle locali miniere di carbone. Lino Vivoda (15 anni, all’epoca): per anni prima e dopo l’esodo cerca le tracce per individuare il possibile assassino; ritiene di averlo trovato in una persona ben precisa di Fasana, cittadina presso Pola dove spesso, all’epoca, si riuniscono ex-partigiani; tale personaggio dopo l’esodo assunse cariche politiche a Pola. Nel dopoguerra Vivoda viene contattato per acquistare un biglietto che proverebbe la colpevolezza di un altro personaggio, noto da tempo anche ai servizi segreti italiani, ma deve rinunciare a presentarsi all’appuntamento, per la quasi certezza che non ne sarebbe più tornato. Esistono numerose documentazioni e atti relativi alla vigilanza dei servizi segreti italiani su personaggi jugoslavi addestrati e pronti, all’epoca, ad effettuare attentati. Il libro di Paolo Radivo riporta abbondanti notizie e considerazioni in proposito.

– si rileva, su un fatto storico di tale importanza, la più grave strage della Repubblica italiana (110 morti tra bambini, ragazzi e adulti), la mancanza di qualsiasi nota da parte del Quirinale.

– il Ministro della Cultura Sangiuliano ha scritto un messaggio ufficiale:

Strage di Vergarolla, Sangiuliano: “Ricordare è un dovere morale” – Ministero della cultura

 

Precedente

L’occupazione dei Territori Palestinesi Occupati è illegale, lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Aja

Si ricomincia a parlare del peso del debito pubblico, come fosse colpa nostra

Successivo

Un commento su “Agosto 1946: la più grave strage di civili della Repubblica italiana. Morti quasi ignorati dopo 78 anni”

Lascia un commento