E’ di questi giorni l’annuncio, dalla cabina di regia del Governo Draghi, di maxi riforme prossime venture, al prezzo di 17 miliardi, come indicato nelle linee guida della relazione riportata nel precedente articolo di Civica, che ha allarmato molti operatori nella scuola. Abbiamo chiesto alcuni pareri a chi è sul fronte operativo. Oggi si riporta quello ‘datoriale’, di chi ha responsabilità diretta, nella gestione degli istituti scolastici sul territorio. Il dirigente scolastico territoriale della provincia di Brescia Giuseppe Bonelli, 52 anni, (qui il c.v.) ci ha concesso un’intervista su questo tema. Brescia è un bel caso, contando oltre 140 istituzioni scolastiche, ognuna con un proprio preside, che è dirigente, più tutte quelle paritarie da ‘sorvegliare’. Nella memoria collettiva è rimasto come il ‘provveditore’.
Provveditore Bonelli, cos’è possibile realizzare concretamente con il PNRR nella scuola italiana?
Il PNRR italiano è molto articolato e circostanziato, propone obbiettivi concreti e monitorabili; certamente i tempi molto ristretti imposti dall’UE, contingentati in fase di progettazione, non hanno permesso un’adeguata consultazione delle parti interessate, nella fattispecie il mondo della scuola di base. La programmazione, a mio avviso, si basa su una comprensione del sistema scolastico maturata all’esterno di esso. Del resto il meglio rischia di essere nemico del bene e quindi occorre concentrarsi sugli obbiettivi definiti. Da questo punto di vista sicuramente gli interventi sull’edilizia, sul potenziamento della formazione prescolare e sulla digitalizzazione appaiono realizzabili, in quanto si tratta di interventi concreti. Possono semmai scontare la generale difficoltà a ‘spendere’ nonostante le significative migliorie introdotte dagli interventi normativi in materia di semplificazione amministrativa. Vedo meno praticabili gli obbiettivi relativi al sistema di reclutamento e quelli di riforma ordinamentale. L’esperienza di questi ultimi anni ci insegna ad essere cauti.
Quali sono i principali bisogni presenti nei territori?
Nelle regioni centro-meridionali e nelle aree interne anche del settentrione, l’edilizia scolastica e la parte fino ai sei anni, costituiscono bisogni concreti. Sul versante della digitalizzazione la mia esperienza, anche di revisore dei conti delle Istituzioni scolastiche mi portano a ritenere che il bisogno più impellente non sia tanto un investimento infrastrutturale quello più necessario, ma piuttosto una formazione efficace e capillare del personale docente all’uso delle nuove tecnologie. In questo caso però occorrerebbe un cambio di mentalità: non è tanto la capacità di usare software e hardware quello a cui si deve puntare ma ad una applicazione di questi strumenti alla didattica e ad una formazione continua volta a comprendere l’evoluzione rapidissima di questi linguaggi tra i giovani. In sintesi a mio avviso dobbiamo comprendere come gli studenti di oggi ragionino per immagini più che per concetti e rivedere in tal senso la nostra offerta formativa. Infine il bisogno più urgente che rilevo dal mio punto di osservazione e che vedo costantemente ignorato dalla programmazione ministeriale è quello del supporto amministrativo alle nostre scuole autonome. Se infatti la gran parte del personale docente, come ha dimostrato l’esperienza della d.a.d., è tutto sommato in grado di ripensare il proprio lavoro in breve tempo, tra il personale amministrativo delle scuole le competenze, non solo digitali, sono al minino, come al minimo sono gli organici delle segreterie delle scuole. Occorre intervenire drasticamente in questo settore, anche permettendo alle scuole di avvalersi di servizi esterni, altrimenti le nostre Scuole saranno delle belle macchine che viaggiano con il ruotino di scorta quando si tratta di fare appalti, contratti, bilanci e rendicontazioni.
Possono essere sistemate le differenze di preparazione tra i vari cicli scolastici registrate dal recente studio Invalsi?
Tutte le principali riforme scolastiche della cosiddetta seconda Repubblica sono state un problema. Consiglierei al Governo di non cimentarsi in questa impresa. Non sono le formule dei cicli scolastici a cambiare la Scuola, per superare i divari tra territorio e territorio, occorrono investimenti mirati, maggiore attenzione verso le scuole che conseguono i risultati più bassi. In tal senso andrebbero recuperate alcune sperimentazioni degli anni passati, come il Progetto Vales, che conferiva risorse alle scuole con la valutazione esterna peggiore a fronte di un preciso e monitorato piano di miglioramento.
Migliorare la Scuola italiana evitando un ulteriore sperpero di denaro pubblico è possibile?
In un sistema complesso e imponente come quello della Scuola italiana è inutile investire a pioggia. Bisogna procedere in modo mirato, individuando le scuole che disperdono di più o che includono di meno e incentivarle direttamente, con un potenziamento delle risorse economiche ed umane, e indirettamente, ad esempio inserendole nei piani di sviluppo territoriali che si attivano per le periferie e per le aree dismesse o per le aree interne. La scuola non è un sistema a parte, slegato dal territorio dove opera, se una zona del Paese o un quartiere di una città soffre, anche la sua scuola soffre, e in qualche caso si svuota sia di docenti validi che di alunni provenienti dei ceti sociali meno depressi economicamente. Allora lì bisogna investire, costruendo strutture didattiche all’avanguardia, riconoscendo qualcosa in più a docenti, dirigenti e personale ata che scelgono di lavorarci.
Redazione Scuola di Civica
Condivido in pieno le affermazioni fatte. Finalmente parole chiare sul futuro della scuola in Italia.
E’ un’intervista precisa e concreta, che denota una conoscenza diretta e approfondita dei problemi scolastici.
Il dott. Bonelli ha espresso concetti semplici, puntando il dito sulle vere problematiche della scuola: ambienti didattici adeguati, competenze professionali solide, amministrszione efficiente e aiuto alle scuole che hanno maggiori difficoltà. Ha citato il modello di aiuto fornito con il progetto Vales. Avendo partecipato al progetto come ispettrice e coordinatrice dei team di valutazione, posso dire che la sperimentazione ha dato risultati. Solo che questi interventi non possono essere sporadici e isolati per produrre effetti. Purtroppo si comincia sempre con annunci roboanti, poi si finisce in niente. Speriamo che non sia di nuovo così……
Il sessantotto (la minuscola è d’obbligo), con le sue pretese di democrazia populista e il noto “vietato vietare” ha distrutto la Scuola, livellandola verso il basso. Ma la conseguenza tragica sono le generazioni impreparate e di crassa ignoranza che ormai dobbiamo incontrare nel mondo del lavoro, della Scuola e della cultura. Occorre un atto di grande coraggio per rifondare la Pubblica Istruzione, ma questi “governicchi” non ne sono in grado. Verrebbe voglia di gridare “arridatece Gentile!”
Daniele Carozzi